Era il 21 febbraio 2020. In Italia si discuteva ancora di Sanremo, di Morgan e Bugo, oppure di un campionato che alla Juve di Sarri sembrava potesse scappare di mano a vantaggio della lanciatissima Lazio di Simone Inzaghi.

Del virus che stava paralizzando le città cinesi si parlava solo di sfuggita, quasi come una notizia curiosa, lontana, che mai avrebbe riguardato la quotidianità italiana. Appena qualche preoccupazione aveva suscitato la notizia della positività di due turisti cinesi a Roma, subito isolati allo Spallanzani.

Insomma, sembrava davvero che il Covid sarebbe rimasto fuori dalle nostre vite. A proteggere gli aeroporti, ma solo i principali, degli agenti dotati di misuratori di temperatura. Voli diretti cancellati da e per la Cina, sembrava bastare: nessuno aveva pensato a chi da Pechino magari atterrasse a Francoforte e poi da lì prendesse un altro aereo per Roma.

Fatto sta che nel pomeriggio di quel 21 febbraio l'Italia fu sconvolta da una notizia shock: un caso di positività al coronavirus riscontrato all'ospedale di Lodi. Il paziente zero era un runner di Codogno, che nonostante febbre, tosse e altri malesseri, una moglie incinta a casa all'ottavo mese, aveva avuto nelle settimane precedenti una vita sociale degna di un divo di Hollywood, condita dalla partecipazione a un paio di corse, tornei di calcetto e a diverse cene aziendali.

Subito dopo si scoprono altri casi nel Veneto. Codogno e Vo' Euganeo diventano gli epicentri della paura, le prime zone rosse in Italia. Ancora non si percepisce la gravità della situazione, o almeno non la percepiscono tutti: in serata, durante Brescia-Napoli di campionato, dagli spalti dello stadio lombardo i tifosi di casa intonano i soliti cori razzisti mascherati da "goliardia": "Napoletano coronavirus".

Seguirà un anno di tensioni, ansie e costrizioni, di inviti a non fermarsi, poi a chiudere tutto, quindi a riaprire. Di assalti ai supermercati e di bonus vacanze, di mascherine, igienizzanti e test. Di ristori promessi e non dati, oppure dati con ritardo. Di lockdown, striscioni sul balcone e proteste di piazza. Tutto è iniziato un anno fa, quel maledetto 21 febbraio 2020: un incubo da cui non siamo ancora fuori.