Perché poi ci sta, non c'è da stupirsi più di tanto, in fondo la politica è quasi una scienza esatta: se Conte, per mesi, è stato incoronato non come un semplice punto di equilibrio nelle condizioni date, ma come "punto di riferimento dei progressisti europei" (Zingaretti), come la "carta decisiva del fronte democratico" (Bettini), novello leader di tutti, quindi anche della sinistra, e adesso è rimpianto nelle "sezioni" dove "non è considerato il passato" (Boccia); se insomma, il Pd, o meglio l'attuale gruppo dirigente, si sente orfano del suo Papa straniero come mai è accaduto da diversi lustri, per affetto e dipendenza, nemmeno con Prodi, D'Alema, Veltroni, inesorabilmente risucchiati nel gorgo dei "fratelli coltelli" proprio perché non erano stranieri (a proposito di subalternità culturale), se, insomma, queste sono le premesse, è pressoché scontata la conclusione fotografata dal sondaggio Swg per Mentana.

E cioè che il "punto di riferimento dei progressisti" prende voti ai progressisti, anche nel momento in cui viene investito del ruolo che, in fondo, ha sempre avuto, ovvero di capo dei Cinque stelle: quattro punti, consentendo al Movimento di tornare il secondo partito dopo la Lega e facendo precipitare il Pd al 14,2 per cento dopo Fratelli d'Italia.

Sì, va bene, i sondaggi, sempre transeunti e opinabili, soggetti a variazioni. Perché un conto è il consenso frutto di ciò che è stato, altro è quel che sarà: la fatica della gestione quotidiana, il rapporto col governo, quello col Movimento, i meet up, i dissidenti che vogliono uscire, quelli che vogliono rientrare. Da gestire senza il potere di palazzo Chigi, anzi il potere di palazzo Chigi durante una fase di emergenza che ha consentito di trovare, proprio nello stato di eccezione un ubi consistam e, con esso, un racconto che l'allora premier prima non aveva, anche a prescindere dai risultati.

Lo stupore, semmai, riguarda più che il sondaggio, lo stato dell'arte del Pd. Che, dopo mesi di "viva Conte" e "abbasso Renzi" si ritrova ad aver subito un governo nato grazie all'iniziativa di Renzi e ad aver legittimato l'ennesima metamorfosi dell'avvocato di Volturara Appula: dal "Conte 1" sovranista con Salvini al "Conte 2" progressista col Pd, al Conte Dracula legittimato a succhiargli il sangue che rianima l'anemico Movimento. Comunque la si pensi, chapeau a Beppe Grillo che (si è capito che la coerenza di principi, valori, identità linea non è più di questo mondo) un'operazione politica degna di questo nome l'ha compiuta, prima traghettando le sue anime perse del Movimento nel governo Draghi in nome della transizione ecologica, poi risolvendo il nodo della leadership, il che non è di poco conto in termini di "tenuta", al punto che anche quelli più indignati vogliono rientrare.

Dà cioè l'idea, con tutti i limiti, le capriole, le contraddizioni politiche, semantiche, anche ideologiche si sarebbe detto una volta, tra chi si definisce liberale e chi si professa coerente con lo spirito delle origini, dà l'idea dicevamo se non di un processo non subito quantomeno dello sforzo di aggiornare linea e assetti alle condizioni date. Insomma, della capacità di esercitare una leadership politica e di immaginare un futuro.

Proprio nel momento in cui Mentana illustrava l'esito del sondaggio, il segretario del Pd, invece, ha spiegato alla direzione che il congresso del Partito, fino a pochi giorni fa agitato come un totem nel gioco delle correnti, non si farà prima del 2023, altro contrordine, il che significa che proseguirà, a livello strisciante e forse (e purtroppo) anche includente, un congresso sui giornali, nei dibattiti e, con esso, l'equivoco sull'irrisolto: il compito e la funzione della sinistra ai tempi del governo Draghi.

Mentre cioè è già in atto una riorganizzazione del sistema politico, la discussione, dopo averlo subito, assomiglia più a una seduta spiritica su un assetto che non c'è più che a un'idea su ciò che sarà. Dove il tema delle alleanze diventa il surrogato per non discutere della questione più di fondo, che non è il ruolo di Conte dopo la fine dell'equivoco (perché leader dei Cinque stelle lo è sempre stato, come ogni qual volta le richieste del Pd di "svolta" restavano tali) né "alleanza sì" o "alleanza no", ma il come starci, su quale visione autonoma dell'Italia e della propria funzione. Il "chi siamo", presupposto inevitabile per stabilire "con chi" realizzare i propri valori, programmi, obiettivi.

È l'istantanea di un arrocco di un gruppo dirigente che, dopo averle sbagliate tutte, rifiuta un franco confronto con la realtà. confronto che riguarda non solo questi ultimi mesi, ma gli ultimi anni. Dall'accettazione del governo nell'estate del 2019, quando ancora si poteva votare, rinunciando alla discontinuità proprio a partire da palazzo Chigi, all'idea della stabilità per la stabilità diventata governo per il governo, anche se immobile, fino alla richiesta di elezioni "o Conte o morte" in piena pandemia. È l'anatomia di un clamoroso fallimento, che si conclude con un altrettanto clamoroso rovesciamento: il Movimento, allora in rotta e senza prospettive che si rianima grazie alla prospettiva che gli ha reso possibile il Pd, perdendo la sua e, assieme ad essa, i voti.