Le donne sono il soggetto più celebrato e più bistrattato al mondo, e vengono amate e desiderate per gli stessi motivi per cui al contempo sono vessate e discriminate.
Così, proprio nel giorno in cui si festeggia la nostra unicità, vorrei spendere un pensiero sui contenuti di tale considerazione e sulla qualità delle attenzioni di cui siamo investite.

 

Prima di tutto la bellezza, la dote tanto decantata da intellettuali e poeti di ogni epoca per omaggiare il genere femminile, che è diventata una schiavitù inevitabile lunga tutta la vita. Ci si riferisce infatti a un parametro ormai completamente irreale, perché quello che viene considerato lo standard di riferimento (ovvero giovane, bella, magra, ben vestita, curata e sorridente), di fatto è uno stato di grazia temporaneo e per poche, non certo una realtà quotidiana possibile per tutte.

Pur sapendolo, le donne sono comunque incastrate in una battaglia - persa fin dall’inizio, che le spinge costantemente a cercare di assomigliare alla loro immagine idealizzata. Le bambine apprendono già dalle loro madri a storcere il naso mentre si guardano allo specchio, un’ossessione che prosegue fino a vecchiaia inoltrata, con casi di anoressia rilevati anche nelle case di riposo e col dilagare di una chirurgia estetica che cancella completamente i lineamenti, purché insieme a quelli scompaiano anche le rughe. Le più passano gran parte della vita insoddisfatte di sé, e anche quelle che rifiutano di inseguire quegli standard nel rispetto del proprio corpo, età, professione o scala di priorità, vengono comunque giudicate e parametrate secondo quel modello.

E poi ci sono il desiderio, l’amore e tutte le pulsioni che creano attrazione e legami: in teoria un patrimonio sentimentale universale che presuppone reciprocità, ma di cui si dice il gentil sesso dovrebbe essere prima di tutto un destinatario.
In nome di un’idea distorta di quel sentire, che a volte viene talmente manipolato da rovesciarne completamente il significato, alcuni uomini agiscono – spesso impunemente – violenze intollerabili, imponendole proprio alle donne destinatarie delle loro “attenzioni”.
Le scuse sono varie, quasi tutte originate da un ego smisurato e incapace di rispetto che non contempla rifiuti, e da una società che anche se a parole condanna la violenza, nei fatti chiude gli occhi su quella sessuale, famigliare e domestica.
Perché, diciamolo, sono ancora molte le persone che credono che il possesso di una donna sia un diritto maschile, legittimato da un ruolo o dal denaro. E così, se sulla condanna alle aggressioni per strada siamo più o meno tutti d’accordo (sempre che la vittima fosse sobria, adeguatamente vestita e con una condotta precedente irreprensibile), nel caso di abusi o stupro di mogli, fidanzate o prostitute, si apre la voragine del silenzio. Eppure questi episodi sono talmente frequenti che fanno parte della vita quotidiana di molte, ma vengono denunciati ancor meno degli altri, perché la realtà è quella che è, e le donne sono le prime a saperlo.

Per non parlare, infine, della tanto decantata maternità, che si dice essere il momento più alto della vita di una donna. L’atto straordinario per il quale le più fortunate vengono vezzeggiate per nove mesi, periodo alla fine del quale tradizione vuole che ricevano un push present, il regalo-premio per aver “dato” un figlio a qualcuno (spesso di maggior valore se il nato è maschio). Una gloria che può rivelarsi molto effimera, soprattutto se il lui di turno a un certo punto si stanca di giocare alla famiglia felice e decide di fare altri piani per il proprio futuro. Perché a quel punto molto spesso le madri devono fare i conti con una grande fragilità, data non solo dal carico di lavoro e responsabilità che raddoppiano (i figli si fanno in due ma, ancora oggi, a lavarsene le mani è più spesso uno) e da un minor potere economico, ma anche da tribunali e leggi che hanno ancora una forte impronta e visione maschile, e da una vulnerabilità materiale ed emotiva che, quando va bene, costerà loro almeno dieci o quindici anni di vita all’insegna del sacrificio totale.

Perciò, aldilà di quel che dicono riviste e fiorai, l’8 marzo come per tutto il resto dell’anno, non è di sicuro con un fiore che si può dare supporto al genere femminile.
Ciò che serve davvero alle donne (a tutte, a ogni età e in questo periodo più che mai), è l’autonomia materiale ed emotiva per decidere della propria vita. E, per essere libere davvero, la condizione fondamentale è quella di essere indipendenti, mentalmente ed economicamente.
Perciò, se volete dare una mano - e non mi rivolgo solo agli uomini - bisogna partire dai gesti quotidiani e concreti che possono davvero migliorare le cose.
Sostenete le imprese femminili, lottate perché nel vostro ambiente le donne vengano pagate alla pari, votatene una ogni volta che potete (nei CDA come nel condominio e naturalmente in politica), cercate di costruire contesti equi e rispettosi sia nel privato che in pubblico, prendete esplicita posizione contro i comportamenti e i linguaggi maschili tossici (anche se provengono da parenti o amici), imparate a distinguere un’adulta da una ragazzina e comportatevi di conseguenza. E scegliete al femminile il più spesso possibile: fra i professionisti e gli esperti da consultare, le figure da supportare nel vostro percorso professionale, i soggetti da seguire nei vostri ambiti di interesse, e poi i libri da leggere, i film da guardare.

Se avete un figlio, educatelo all’ascolto e al rispetto. E alle ragazze insegnate che è importante impegnarsi per la propria autonomia, che ognuna deve avere le proprie risorse e tenerle al sicuro, che l’intelligenza è più importante della bellezza, che l’amore non è tutto, e che la gentilezza è una qualità ma bisogna sapere quando è necessario lottare. Perché, diciamocelo, è più sicuro imparare a difendersi da sole che contare sul fatto che qualcuno arrivi a salvarti.
Insomma, se volete esserci davvero provate ad agire concretamente, perché di fiori e parole nei secoli ne sono stati spesi abbastanza e, come potrete capire, non ci sono mai serviti a niente.

E buon 8 marzo a tutte.