Manaus è diventato un laboratorio ormai mondiale. Si pensa che la variante brasiliana sia uscita dalla foresta amazzonica che ci ostiniamo a distruggere e ad aprire, con tagli di alberi e verde bruciato. Ma è un’ipotesi. Si stima che altre decine se non centinaia di virus siano pronti a lasciare il loro habitat selvaggio e invadere le zone abitate. La capitale amazzonica era stata travolta dalla prima ondata, tra aprile e maggio 2020, con un bilancio altissimo di contagi e di vittime. Poi c’era stata una tregua tanto che per le vacanze estive di Natale la gente era andata a trovare amici e parenti e le misure di protezione si erano allentate. Il Covid ne ha approfittato e ha partorito una variante. Si è affacciata ai primi di gennaio di quest’anno quando gli abitanti di Manaus sono tornati dalle ferie ed è ripreso il lavoro. Questa seconda ondata è stata improvvisa e inaspettata. Gli ospedali sono stati presi d’assalto, reparti e corsie si sono subito intasati. Chi si ammalava si sentiva soffocare, aveva bisogno di ossigeno. Le scorte sono presto finite, servivano a quelli che stavano in terapia pre intensiva e intensiva. La gente è comunque accorsa disperata, con le bombole che aveva conservato dalla prima ondata. Erano vuote. Dovevano essere riempite. Ci sono state scene strazianti. File interminabili sui marciapiedi, uomini e donne, anche giovani stravolti che boccheggiavano. Juliana Cunha, un’infermiera di Rio, spiega che accadeva la stessa cosa anche nel suo ospedale. “Non potevo crederci”, pensò in quel momento, “mi sono detta: queste sono varianti”. Era la sola spiegazione possibile anche se la capitale carioca è a migliaia di chilometri di distanza. Al dramma è subentrata l’angoscia. I dati dimostravano che la P1 era sconfinata e aveva raggiunto 21 dei 26 stati del Brasile. Si ammalavano anche i medici e gli infermieri che erano stati contagiati durante la prima ondata. Maria Glaudimar, infermiera di Manaus, era sconvolta. “Ci aveva colti impreparati”, ammette, “sembrava un film dell’orrore”. Gli scienziati hanno cercato subito di isolare il nuovo virus e di monitorare l’andamento nel resto del Paese. Ma le risorse limitate per i test li obbligavano a inseguire P1 senza poterlo anticipare e bloccare. L’unica soluzione resta la vaccinazione di massa. Ma dipende dalle dosi che hai a disposizione e come si sa sono poche e concentrate nei Paesi che le producono. Chi raggiunge l’immunità di gregge riapre e rimette in moto l’economia. Il Brasile ha dovuto fare i conti con la politica negazionista di Bolsonaro e gli scontri continui con i governatori che chiedevano misure di protezione e lockdown. Si è perso molto tempo. Solo adesso, con il presidente sempre riluttante ma almeno non così ostruzionista come prima, si è cominciato a somministrare il CoronaVac cinese e qualche AstraZeneca. Ne hanno beneficiato poco più di 5,8 milioni, il 2,6 della popolazione. Solo 1,5 ha ricevuto anche la seconda dose. Tutti i governatori hanno firmato una lettera nella quale denunciano la situazione drammatica nel paese. Chiedono fondi e interventi drastici. Immediati. Bisogna agire in fretta, la variante rischia di rendere ancora più difficile frenare i contagi. Anche chi si è preso il Coronavirus non può sentirsi al sicuro. Lo stesso Parlamento è in allarme. Perfino i politici di destra, quelli legati ai principi di Bolsonaro sul Covid, adesso vedono buio all’orizzonte. La bomba atomica è innescata, può esplodere da un momento all’altro.