di Renato Silvestre
Massima incarnazione dell'artista bohémien e in ciò modello insuperabile per la generazione dei "poeti maledetti", è considerato il padre del simbolismo letterario e il precursore del Decadentismo. La maggior parte degli studiosi lo ritiene semplicemente il maggior genio poetico di sempre.
Nato nella Parigi postnapoleonica, la sua infanzia fu segnata dalla prematura perdita del padre e dalle nuove nozze della madre, che influirono pesantemente sul carattere e sul rendimento scolastico. Completati gli studi, si avvicinò alla poesia seguendo le orme degli artisti bohémien e dandosi a una vita dissoluta e ai margini della società.
Grazie alla cospicua eredità paterna, poté condurre un'esistenza da dandy (da cui il fenomeno di costume del "dandismo"), improntata cioè a uno stile di grande eleganza nel vestire e nei gusti personali, riflesso di una superiorità intellettuale rispetto alla massa borghese e benpensante. Interdetto dalla madre, si ritrovò a vivere in ristrettezze economiche, indebitandosi fortemente.
Dopo le prime opere come critico e saggista, nel 1857 pubblicò il suo capolavoro immortale: la raccolta di poesie I fiori del male, considerata la "Bibbia" della corrente simbolista. In essa espresse il concetto di "poesia pura", scevra da ogni preoccupazione di contenuto e da qualsivoglia impegno civile o morale, unitamente a quello di "poeta veggente", in grado cioè di trasmettere le impressioni più vaghe e indefinite della realtà e di penetrare l'intima essenza delle cose. Principi che gettarono le basi della poesia moderna.
Schiavo dell'alcool e dell'oppio e condannato alla paralisi da un ictus, Baudelaire morì a Parigi, tra le braccia dell'amata (e odiata) madre, nell'agosto del 1867.