Vengo da un mondo in cui tutti appartenevamo a determinati gruppi: scolaresche, fabbrica, ufficio, religione, partito o sindacato. E in quei gruppi ci sentivamo uguali e uniti da medesimi interessi, in base ai quali costruivamo la nostra solidarietá. Ma cos'è la solidarietá? Apro il vocabolario e leggo: “Atteggiamento spontaneo, o concordato, rispondente a una sostanziale convergenza o identità di interessi, idee, sentimenti”. Era proprio quella convergenza di interessi, idee e sentimenti che ci univa nel gruppo e in quell’unione ci sentivamo piú forti, meno soli, piú preparati per sfidare il mondo. Oggi la solidarietá é entrata in crisi, anche perché le istituzioni sono in crisi. Si lavora meno nelle fabbriche o negli uffici, cerchiamo di affermarci a partire da un concetto di indipendenza con cui ci distanziamo dagli altri, le stesse istituzioni - la Chiesa, il partito e il sindacato - sono in crisi.

Un filosofo tedesco Norbert Elias scriveva verso la fine del secolo scorso su quello che definiva “la societá degli individui”, un modello in cui entrano in crisi i paradigmi tradizionali e si produce l’erosione del gruppo como modo di “pensare la societá” in termini solidali. Il secolo XXI con le sue nuove forme di rapporto sociale (dal matrimonio al lavoro e alla politica) privilegia un nuovo individualismo che ci spinge a cercare il successo, costi quello che costi e anche a scapito del gruppo. Il lavoro diventa piú autonomo, il matrimonio é sostituito dal concetto di coppia, i valori religiosi e politici mai devono essere un ostacolo per l’individuo. Quando le idee si contrappongono al mio profitto, il vincente é sempre il profitto.

Il secolo XX, nel bene e nel male, aveva costruito un modello sociale e produttivo, in cui ognuno di noi aveva un ruolo specifico nella comunitá: dal medico all’operaio di fabbrica, dal capoufficio al portiere (quest’ultimo sempre in cravatta e attento alla comunitá denominata condominio). Su queste basi, la societá aveva “pensato” un modello di tutele che iniziava con l’educazione pubblica, seguiva con un lavoro per tutta la durata della vita (almeno questo era il desiderio) e concludeva con un efficace sistema previdenziale, finanziato dallo Stato, dai lavoratori e dagli imprenditori.

Oggi questo sistema cade: i figli - quando si puó - si inviano alle scuole private, perché il sistema pubblio fa acqua, i giovani non concepiscono piú “il lavoro a vita”, la previdenza sociale diventa un traguardo lontano e misero. Il risultato é che ognuno deve fare “per sé”: saltiamo da un rapporto amoroso a un altro, cosí come passiamo da un lavoro all’altro. Oggi votiamo un politico, che sembra favorevole ai nostri interessi; la prossima volta non esiteremo a cambiar il nostro voto, se ció ci giova. Diffidiamo del sindacato, perché il suo obiettivo é quello di difendere i meno protetti e noi - come individui - vogliamo staccarci dal gregge e raggiungere traguardi piú alti, di quelli che potrebbe assicurarci la tessera sindacale.

Nella societá degli individui la scommessa personale sul successo (che é sempre un successo vincolato con il denaro, perché il denaro é il vero simbolo della nostra affermazione sociale) sgretola la solidarietá, che era il collante di ogni vera costruzione sociale. Le conseguenze non solo si proiettano sull’intera comunitá (squilibrata distribuzione delle ricchezze, diminuzione della partecipazione sociale nei centri di lavoro e nelle comunitá di ogni tipo, crisi della democrazia stessa), ma si ritorcono sullo stesso individuo: l’alienazione, le forme diverse di depressione, l’isolamento sono compagni di strada di un percorso solitario, in cui quando si cade, non c’é nessuno che ci aiuti ad alzare.

Tutto é perduto sul fronte della solidarietá? Non é detto. Proprio in questo momento di crisi nascono nuove solidarietá, diverse da quelle del secolo XX, ma che vogliono prendersi la rivincita su diverse ingiustizie commesse nel secolo scorso. Ma di questo ne parleremo sabato prossimo.

JUAN RASO