di Franco Esposito

San Gennaro porta Napoli in tribunale. L’atto di citazione per dieci anni di mancati versamenti dell’amministrazione comunale della quota nelle casse dell’organizzazione che gestisce la cappella del santo patrono, in Duomo. Ottocentomila euro mai più pervenuti dal 2011 alla Deputazione di San Gennaro, composta da dodici persone, in generale di nobile casato, dedicate alla custodia e alla cura del Tesoro del Santo. Ori, preziosi, e quant’altro. Mancati versamenti sono la causa unica del licenziamento di parte del personale.

“Non è una concessione, non è un obolo”, la retta da versare alla Cappella di San Gennaro. Ma il Comune, ovvero il sindaco Luigi De Magistris non paga da troppo tempo. È questo il motivo che porta dritto in tribunale il Comune di Napoli, insolvente. Uno schiaffo alla storia e al legame esemplare che unisce da sempre il culto verso il santo con l’affetto che la città di Napoli, intesa come comunità civile, non ha fatto mai mancare al santo conosciuto anche dai napoletani come “faccia ngialluta”. La citazione in tribunale rappresenta una insidia che persino il più tentatore dei diavoli avrebbe respinto. Invece San Gennaro si vede costretto a portare Napoli in tribunale.

Composto da quindici pagine, l’atto di citazione che cancella la storia è firmato dall’avvocato Andrea Pisani Massomormile. Noto e apprezzato legale, parla per conto della Deputazione che governa la Cappella, al cui vertice siede proprio il sindaco De Magistris. Un organo autonomo per eccellenza dal potere ecclesiastico, rivendicatore da sempre della natura laicale dei beni. L’udienza è fissata per il prossimo 20 luglio.

Quasi undici anni di debiti accumulati dal Comune di Napoli hanno spinto la Cappella del Tesoro a promuovere il giudizio contro il sindaco. Il Comune è tenuto a versare all’anno una retta di 89mila euro. Dal 2011 ha offerto a San Gennaro poco o nulla. Il debito ammonterebbe oggi a 737mila 388 euro e 35 centesimi. Traslato attraverso i secoli e le economie, rappresenterebbe il corrispettivo di quei 4.014 ducati che la città di Napoli si impegnò a versare per mantenere la Cappella edificata “sulla promessa dell’intera comunità civile il gennaio del 1527”. Ben oltre i cinquecento anni di storia. Cinque secoli di Napoli col suo patrono e viceversa.

Accade a Napoli, la cui storia, la sua rovina, la sua sofferenza, la sua gloria, carestie, feste farina e forca, appare come evento non sperabile dalla storia di San Gennaro. Il suo miracolo col sangue liquefatto, oppure solidissimo nelle ampolle, malgrado improperi e insulti delle sue devote, negli anni bui. Proprio quella grande storia che finora aveva impedito azioni drastiche. Ma la Cappella (e la Deputazione) non possono più attendere. Hanno assoluta necessità di quelle rate.

La Cappella non può accontentarsi di oboli che la città elargisca ogni tanto. “Ripetuti mancati adempimenti da parte del Comune, nonché il mancato riscontro ai solleciti bonari della Cappella, costringono la Deputazione a promuovere il giudizio, al fine di evitare che l’inerzia della amministrazione comunale pregiudichi le funzioni e la sopravvivenza stessa di una istituzione, come la Cappella, così intimamente legata alla cultura civile e religiosa e all’identità stessa della città”.

Certo, mettersi contro il santo patrono della città, evidentemente, non è la scelta migliore. Ma esiste comunque una obbligazione del Comune verso la Cappella. “Quel pagamento non è una graziosa concessione, ma l’adempimento di un obbligo”.

San Gennaro non è più disposto ad accettare “l’arbitrio del Comune, per la prima volta in cinque secoli di storia. La rinuncia al patronato sulla Cappella del Tesoro di San Gennaro sarebbe una ferita enorme. Un’offesa che entrerebbe nei libri di storia”.

La storia racconta. Negli anni tragici, peste ed eruzioni, nel 1527 i rappresentanti politici riuniti come “Tribunale di San Lorenzo”, si misero insieme per sottoscrivere l’atto che permetteva la realizzazione di una Cappella del Tesoro dedicata a San Gennaro. Affinchè proteggesse la città dalle calamità. Furono versati “delli denari pubblici” per 11mila ducati, più mille d’oro “per il tabernacolo dell’Eucarestia”. Ciascun seggio ebbe i suoi rappresentanti. La prima pietra nel 1608, la fine dei lavori nel 1647. “Alla città costò oltre 300mila ducati, poi fino a un milione di dollari per vederla così com’è”.

La Cappella del Tesoro rischia di chiudere. “Il sindaco tenga fede agli impegni, la città non può perdere il suo patronato”, chiede uno dei membri più anziani della Deputazione. Discendente dell’omonima nobile famiglia, Pierluigi Sanfelice di Bagnoli segue da anni la querelle tra la Cappella e il Comune di Napoli “Si tratta di dieci anni di arretrato. Ma è chiaro che si potrebbe poi concordare con noi una restituzione dilazionata dell’impegno complessivo”.

La grana è grossa. Non solo per De Magistris, alla fine del mandato di sindaco, ma anche per il suo successore sulla poltrona di Palazzo San Giacomo. I santi, comunque, è sempre meglio tenerli come amici. San Gennaro, poi…