DI MARCO FERRARI

Gode in un'immortale attenzione Tina Modotti, nata Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942). A lei sarebbe piaciuto passare alla storia come rivoluzionaria, in realtà è considerata una delle più grandi fotografe di sempre. Le sue opere sono conservate nei grandi musei, dall'International Museum of Photography and Film di Rochester alla Biblioteca del Congresso, dalla biblioteca nazionale degli Stati Uniti a Washington a Caracas che le ha dedicato un centro culturale. Non passa anno che in Italia non le si renda omaggio. Ora tocca al Mudec di Milano (Museo delle Cultura, Via Tortona): sino al 7 novembre è in corso la mostra "Tina Modotti. Donne, Messico e libertà" a cura di Biba Giacchetti che affronta il periodo dal 1924 al 1930. Alle pareti sono appese più di cento fotografie, stampe originali ai sali d'argento degli anni Settanta, realizzate a partire dai negativi. Durante la sua breve vita, insieme al compagno Vittorio Vidali, si impegnò in prima linea per un'umanità più libera e giusta, per portare soccorso alle vittime civili di conflitti come la Guerra di Spagna. Lavorò con il celebre medico canadese Norman Bethune, inventore delle unità mobili per le trasfusioni di sangue, durante la disastrosa ritirata da Malaga nel 1937. Nel 1939, dopo il crollo del fronte repubblicano e l'instaurazione del regime franchista, la Modotti lasciò la Spagna assieme a Vidali, per far ritorno in Messico dietro falso nome. Secondo alcuni storici, la fotografa potrebbe essere stata implicata, assieme al suo amante Vittorio Vidali (alias Carlos Contreros), nell'assassinio di Lev Trockij. Non potrà mai tornare nella sua amata terra natale a causa delle sue attività antifasciste e di una morte prematura avvenuta ad appena 46 anni, alla quale resero omaggio artisti come Picasso, Rafael Alberti e Pablo Neruda che le dedicò una celebre poesia.

In Messico nel 1924 Tina Modotti scatta una fra le sue celebri immagini, Due calle. I fiori vengono ritratti su uno sfondo neutro, forse la parete di un muro. Questa immagine sarebbe la risposta alla altrettanto celebre foto di Edward Weston del 1921, L'iris bianco, dove il volto della Modotti appare sfumato e in parte celato da un iris che sembra sfiorarla leggermente, come una carezza. C'è un certo parallelismo tra fare il fotografo ed essere fotografati, pratica che ricorre spesso nella vita della Modotti. Trasferitasi in California nel 1913, si era sposata a San Francisco con Robo, Roubaix de l'Abrie Richey, pittore e poeta, era diventa attrice a Hollywood. Grazie al marito, conobbe il fotografo Edward Weston e la sua assistente Margrethe Mather. Nel giro di un anno, la Modotti divenne la sua modella preferita e, nell'ottobre del 1921, anche sua amante. Quello stesso anno, il marito Robo, scoperta l'infedeltà della moglie, scappò in Messico, seguito un po' di tempo dopo dalla Modotti che, però, giunse a Città del Messico troppo tardi, in quanto egli era morto da ormai due giorni, a causa del vaiolo. In Messico ritornerà nel 1923, assieme a Weston ed uno dei quattro figli dell'uomo, desideroso di partire per lasciarsi tutto alle spalle e rifarsi una vita nel paese latino-americano. Qui incontra i grandi pittori e muralisti del Rinascimento messicano, Davide Alfaro Siqueiros, Diego Rivera, José Clemente Orozco e Frida Khalo ed entra in contatto con una dimensione dell'impegno politico inseparabile da quello dell'arte. Dapprima inizia a fotografare fiori, oggetti, architetture. Il Geranio (1924), i Gigli (1925), il Cactus (1925), ancora vicini allo stile di Weston. Lo stesso si può dire delle sperimentazioni dei Bicchieri (1925) o nelle architetture di Stadio (1926), del Convento a Tepotzotlán (1924) o nelle linee astratte della Prospettiva con cavi telefonici (1925).

Il Messico, intanto, irrompe il fotogramma e lei diventa una ricercatrice d'immagini autonoma. Sa cosa vuole dalla sua Graflex e lo testimonia sulla rivista Mexican Folkways: "Sapere se la fotografia sia o non sia arte importa poco. Ciò che è importante è distinguere tra buona e cattiva fotografia. Per buona si intende quella fotografia che accetta tutte le limitazioni inerenti la tecnica fotografica e usa al meglio le possibilità e le caratteristiche che il medium offre. Per cattiva fotografia si intende ciò che è fatto, si potrebbe dire, con una specie di complesso di inferiorità, senza apprezzare ciò che la fotografia offre in sé stessa, ma al contrario ricorrendo a ogni sorta di imitazioni". Quel connubio tra immagine e politica, così fortemente marcato da film "La corazzata Potëmkin di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn del 1925, si rinnova anche in Messico e trova nella Modotti la principale interprete, lei che viene dal cinema. Per questo la sua fotografia fissa il tempo e l'anima dei soggetti ripresi. Così come nelle altre città in cui ha vissuto, anche a Città del Messico il suo stile mette insieme ideali rivoluzionari e sentimenti. Le sue pellicole sono il simbolo di chi vuole davvero cambiare il mondo partendo dalle masse popolari. Come la cinematografia, anche la fotografia è chiamata a dare vigore all'immaginario collettivo come testimoniano dagli scatti chiamati Sombrero, falce e martelloPannocchia, chitarra e cartuccieraChitarra, falce e cartucciera, tutte del 1927. La creatività non ha i limiti della concezione leninista ma vola libera. Basandosi sugli ideali di Villa, Zapata e Magón, di ascendenza antiautoritaria e insurrezionale, la sinistra messicana è assolutamente lontana delle teorie dogmatiche della Terza Internazionale. Questo spiega, tra le altre cose, la favorevole accoglienza di Trockij e delle sue teorie all'interno del movimento comunista messicano, salvo poi incappare nei rigidi comandi del Comintern che lo porteranno alla morte.

La Modotti si tuffa in questo clima euforico: conosce Xavier Guerrero e se ne innamora, conosce Juan Antonio Mella e se ne innamora. La morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1929, in circostanze mai chiarite, le provoca un'enorme sofferenza che riesce a testimoniare con un drammatico ritratto dell'amato morto, in ospedale. Di lei oggi restano circa duecento scatti in quel ribollente mondo rivoluzionario messicano, così lontano dalla rigidità ideologiche dell'Europa. Per questo negli uomini e nelle donne ritratte c'è un senso di eterna bellezza che toglie marginalità alle loro povere esistenze e fornisce la forza del riscatto. Il 3 dicembre 1929 la Modotti inaugura una mostra all'Università autonoma di Città del Messico: è il suo apogeo di fotografa, ma anche il momento in cui smetterà di scattare immagini. Perso il rapporto con Diego Rivera e Frida Khalo, resterà attaccata a Vittorio Vidali, rivoluzionario dai molti nomi e passaporti, ma che sino in fondo sarà fedele a Stalin. Per lei, invece, anche postuma, verrà una grande gloria artistica rappresentata da volumi quali Tina Modotti, Vita, arte e rivoluzione. Lettere a Edward Weston (1922-1931), 2008; Tina Modotti fotografa, 2010; Pino Bertelli, Tina Modotti. Sulla fotografia sovversiva, dalla poetica della rivolta all'etica dell'utopia; Tina Modotti. Fra arte e rivoluzione; Pino Cacucci, Tina, Feltrinelli, 2009. Ora arriva un nuovo volume di Gérard Roero di Cortanze, Io, Tina Modotti. Felice perché libera di prossima pubblicazione da Elliot.