Di Matteo Forciniti

“La giustizia prima o poi arriva sempre” dice con quella tranquillità che l’ha sempre contraddistinta Silvia Bellizzi, familiare di un “desaparecido”, subito dopo il verdetto definitivo pronunciato dalla Cassazione sul processo Condor. Questa sentenza chiude -almeno parzialmente- una delle pagine più brutte della storia recente del Sud America confermando le condanne emesse dalla Corte d’Appello di Roma nel 2019 e segnando di fatto una svolta epocale.

Ci sono voluti 22 anni per scrivere la parola fine su questa vicenda iniziata su impulso, tra gli altri, di un gruppo di famiglie italouruguaiane che decisero di sfidare l’impunità regnante rivolgendosi alla magistratura della nazione di origine.

Sono 14 gli ergastoli inflitti ai militari sudamericani che si sono macchiati di crimini contro l’umanità tra gli anni settanta e ottanta nell’ambito della cosiddetta operazione Condor, il piano organizzato dalle dittature del continente per spazzare via ogni forma di dissidenza. A questi ergastolani bisogna aggiungere gli altri 3 cileni condannati in via definitiva pochi giorni fa, mentre altri sette accusati oggetto delle condanne di primo grado e di appello sono risultati nel frattempo deceduti.

I fatti incriminati riguardano il sequestro, la tortura e l’assassinio di 43 cittadini di origine italiana tra cui Andrés Humberto Bellizzi sparito nel nulla in Argentina dal 19 aprile del 1977. In prima fila in tutti questi anni nel seguire il processo di Roma c’è stata la sua famiglia a partire dalla madre Maria, novantasettenne di San Basile (Cosenza), e la sorella Silvia che ha sempre tenuto accesa la speranza anche dopo le assoluzioni della sentenza del primo grado che sono state in seguito ribaltate: “Questa vittoria è frutto del sacrificio di tanti anni di lotta da parte di tante persone e organizzazioni che ci hanno sostenuto. Sembrava impossibile e invece ce l’abbiamo fatta. Oggi voglio ricordare il contributo di tutti i familiari che ci hanno accompagnato in questo periodo ma che non sono riusciti a vedere le condanne. La cosa più importante è che per la prima volta a livello internazionale è stata riconosciuta l’esistenza del piano Condor confermando così quello che noi dicevamo da tempo. Ciò che mi sento di dire è che bisogna credere nella giustizia perché la verità prima o poi viene a galla bisogna solo scavare in profondità. E non importa dove vadano a rifugiarsi i genocidi perché tanto la giustizia arriva”.

Tra i condannati c’è anche Jorge Troccoli -ex capo dell’S2, il servizio di intelligence della Marina militare uruguaiana- l’unico residente in Italia (a Battipaglia) a cui era stato già ritirato il passaporto nel 2019 per il pericolo di fuga. Personaggio emblematico, Troccoli si è sempre definito una vittima arrivando a difendere il terrorismo di Stato nell’ambito di una presunta guerra tra due fazioni e nel 2007 riuscì a sfuggire alla giustizia uruguaiana rifugiandosi in Italia grazie alla cittadinanza acquisita da un antenato.