Di Matteo forciniti

L’ingegnere rivoluzionario e artista del mattone Eladio Dieste aveva come uomo di fiducia nei suoi cantieri in Uruguay un emigrato del MoliseVittorio Vergalito oggi è un signore di 94 anni con problemi di salute che si porta dietro una storia dimenticata ma affascinante: alla fine degli anni cinquanta è stato lui -sotto la guida dell’ingegnere- tra gli artefici materiali della costruzione di un sito che è stato appena nominato patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’Unesco, un illustre riconoscimento anche al lavoro e al sacrificio di questo emigrato.

La Iglesia de Cristo Obrero y Nuestra Señora de Lourdes si trova nelle vicinanze di Atlántida, una località balneare a 50 chilometri da Montevideo. È ispirata all’architettura religiosa paleocristiana e medievale italiana e si caratterizza per il suo inedito utilizzo di mattoni a vista e armati. Costruita su pianta rettangolare a un’unica aula, la Chiesa presenta pareti ondulate che sostengono un tetto altrettanto ondulato composto da una sequenza di volte gaussiane in mattoni armati. Tra le altre particolarità troviamo il campanile cilindrico -realizzato in muratura di mattoni a vista traforati- che si eleva da terra a destra della facciata e poi il battistero ipogeo che si trova sul lato sinistro del sagrato ed è accessibile da un ingresso prismatico triangolare e illuminato tramite un occhio centrale. L’effetto delle luci e delle ombre -tanto all’interno come all’esterno- sono le caratteristiche inconfondibili dell’opera più famosa dell’ingegnere che sognava di costruire con materiali semplici una Chiesa umile per tutti i fedeli come lui e dove le preghiere potessero rimbombare più forti.

Iglesa Cristo Obrero y Nuestra Señora de Lourdes, Ing. Dieste, E. Atlántida, 1960. Foto de Rodolfo Marínez, 2006

Dieste, che si formò in un paese profondamente influenzato dalla cultura europea, italiana e non sola- conciliava obiettivi estetici e sociali con una scelta precisa all’insegna del riscatto nazionale puntando su materiali più accessibili per adattarsi alle caratteristiche locali. Ecco perché decise di sfruttare al massimo il laterizio in contrapposizione al calcestruzzo armato e all’acciaio che venivano invece importati. “Ad ognuna delle sue opere ha saputo conferire un qualcosa di originale, fatto di invenzioni strutturali intimamente connesse alla forma e all’economicità dell’opera” ha scritto Fausto Giovannardi in una pubblicazione del 2007 a cura dello Studio Giovannardi e Rontini che ha definito la sua un’ingegneria magica. Per fare quello che si era prefissato “ha usato il mattone e il laterizio in modo ardito e fantasioso, creando superfici ondulate e di una estrema leggerezza. La caratteristica principale di tutti i suoi edifici è il calore del colore, ovvero la “colorazione che la luce assume quando rimbalza su una superficie pigmentata”.

Eladio Dieste era un ingegnere del tutto particolare che aveva un “grande amore per il cantiere e per il lavoro, con un rapporto intenso e fraterno con i suoi muratori” tra cui spicca la figura del capomastro Vittorio Vergalito con cui era molto legato. Padre Jaun Pedro Villanueva della chiesa di Durazno, ricorda che il capomastro molisano era “un italiano, piccolino, vigoroso, un capocantiere straordinario, brillante e grande lavoratore”.

Nato l’11 aprile del 1927 a Fossalto (Campobasso), Vergalito arrivò in Uruguay nel 1955 come racconta in un’intervista del 2014 visibile su Youtube. Come da tradizione familiare cominciò a dedicarsi all’agricoltura mentre il mestiere di muratore lo iniziò a imparare d’estate quando la manodopera a Montevideo scarseggiava. “Qui i muratori mettono tra i seicento e i settecento mattoni al giorno” lo avvertì un giorno il capomastro in uno dei suoi primi cantieri dove si adattò subito molto bene. “In un solo giorno io arrivai a mettere 1.100 mattoni”, questa fu la sua risposta.

Quella dei Vergalito è stata una delle tante famiglie segnate dalla guerra: “Mio padre e mio fratello andarono in guerra, io pensavo che in qualsiasi momento la guerra potesse tornare e per questo mi dicevo che dovevo andare via. Inizialmente pensavo di andare in Canada ma qui in Uruguay c’era un cognato e per questo motivo scelsi di venire qui. L’idea iniziale era quella di rimanere solo qualche anno e poi tornare in Italia”.

L’ingegnere Dieste racconta di averlo conosciuto insieme ad altri muratori italiani in un’opera ai quali fece una promessa: “Quando finite qui se non avete altre cose allora venite con me a lavorare”. E così fu dopo poche settimane dando inizio a una proficua e duratura collaborazione. “La Chiesa di Atlántida l’abbiamo iniziata noi italiani, a volte la gente non sapeva mettere i mattoni e dovevamo andare noi ad aiutarli. Come capomastro però non l’ho finita io perché dovevo fare altre cose. Per descrivere tutte le opere fatte in Uruguay avrei bisogno di un libro”.

Parroquia del Cristo Obrero