Di MARCO FERRARI

Strano paese l’Italia: i sondaggi elettorali danno in vantaggio la Lega e Fratelli d’Italia che hanno costruito la loro fortuna politica sulla lotta all’immigrazione. Ma queste formidabili Olimpiadi di Tokyo stanno presentando una formazione azzurra multietnica, frutto sia di emigrazioni di fatto che di matrimoni misti, come nel caso del supercampione della velocità Marcell Lamont Jacobs. Insomma, a Tokyo scaturisce un’Italia più autentica di quella che ci viene quotidianamente dipinta dai telegiornali con politici in lite tra loro, no vax che sfilano per le città, odio razziale, turismo in crisi e servizi che non funzionano. Sembra che la solidarietà e la collaborazione sia la base di questa fortunata spedizione olimpica, seguendo l’impronta istituzionale voluta da Mattarella e Draghi. Rispetto al passato crollano le discipline di squadra (calcio non entrato nella fase finale, pallavolo, basket, beach volley, pallanuoto ecc.) a vantaggio di discipline individuali. E qui scopriamo storie emblematiche: Jacobs che vuole ritrovare il padre americano; Tamberi uscito da un grave infortunio; Poltronieri che vince due medaglie dopo aver sconfitto una grave malattia; la Pellegrini che guarisce dai disturbi alimentari; la lanciatrice del disco Daisy Osakue che ha subito una lesione della cornea a seguito di una pioggia di uova che le sono state lanciate addosso in un’aggressione razzista a Moncalieri e che nonostante tutto si dichiara fiera di essere italiana e decide di intraprendere studi universitario sulla giustizia criminale. In questo insieme di vicende personale emerge la solitudine dell’età giovanile e il sacrificio degli allenamenti a discapito di un’età che dovrebbe essere allegra e spensierata. E poi c’è un aspetto poco conosciuto dietro questa pioggia di medaglie: gli allenatori, i mental-coach, il sostegno delle famiglie e il ruolo dello stato. Ma ciò che conta di più è la forza di volontà, gli stimoli personali, allenamenti continui eseguiti per ore ed ore nel silenzio più assoluto, quando di fronte hai solo il rosso-arancio sintetico della pista, i pedali che muovono le ruote sull’asfalto o le corsie diuna piscina. Ma ci sono anche storie di vita che rimandano a questioni più importanti, come la conversione all’Islam per amore del marciatore Massimo Stano, la dichiarata omosessualità della judoka Alice Bellandi, la riconoscenza di una adozione del mezzofondista Yemaneberhan Crippa o il racconto della miserie e dell’abbandono da parte del propri genitori del lottatore Frank Chamizo. Molti di loro sono diventati italiani solo maggiorenni con lo ius soli sportivo, cittadini di serie B a lungo. Se la multietnica è un elemento che contraddistingue da sempre paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Portogallo e la Francia, in qualche maniera è una novità per altri stati come l’Italia, la Svizzera o la Germania. I primi, si sa, devono il loro destino multietnico alle loro avventure (o disavventure, dipende dal punto di vista) coloniali che hanno portato vantaggi o svantaggi, a seconda di come è andata la storia. Ad esempio, il Portogallo si è dissanguato in una inutile guerra coloniale in Angola, Mozambico, Guinea e Capo Verde per giungere infine alla Rivoluzione dei Garofani. Ma di fatto per gli azzurri è forse la prima volta che gli atleti presentano origini etniche differenti in maniera marcata. Ciò ha sicuramente consentito all’Italia di superare il record di allori toccato a Los Angeles 1932 e a Roma 1960, anche se in questo caso giocavamo in casa. Un risultato storico per lo sport di casa nostra. Di fatto è un cambiamento rispetto al passato quando erano gli oriundi a forgiare le formazioni azzurre, basta pensare ai Mondiali degli anni 1934 quando Pozzo schierò calciatori di origine latino-americana come Orsi, Monti, De Maria, Guarisi e Guaita. E’ vero che nel pallone resiste il fenomeno degli oriundi o rimpatriati che oggi conta, nella nazionale vincitrice del recente torneo europeo, Toloi, Emerson e soprattutto Jorghino, il motore della squadra. Ma più marcatamente in queste Olimpiadi di Tokio si è vista una folta rappresentanza di quelli che oggi vengono definiti i “nuovi italiani”, cioè cittadini di origine straniera nati nella penisola o emigrati da paesi extraeuropei, non propriamente derivanti dalla “ius sanguinis”, espressione giuridica di origine latina che indica l'acquisizione della cittadinanza per il fatto della nascita da un genitore o con un ascendente in possesso della cittadinanza. Per loro la soddisfazione di sentirsi davvero italiani ma anche di entrare in una sfera di sicurezza economica. Infatti, il Coni ha portato il premio a 180mila euro per ogni oro conquistato. In Giappone una medaglia d'argento vale 90mila euro (erano 75mila), mentre una di bronzo porta nelle casse degli olimpionici 60mila euro (erano 50mila).