di Adalgisa Marrocco

Un bronzo alle Olimpiadi è gloria vera, eppure può non sembrare abbastanza. Deve averlo pensato Kokichi Tsuburaya, maratoneta giapponese dei giochi di Tokyo 1964 mentre sulla pista dello stadio, saldamente alle spalle dell’etiope Bikila che sta per centrare il suo secondo oro olimpico, viene superato nelle battute finali dall’inglese Heatley per l’argento.

Attorno a Kokichi Tsuburaya 70 mila spettatori sugli spalti e milioni di altri da casa. Tutti gli occhi puntati su di lui: un soldato ventiquattrenne che, al suo esordio olimpico, sta per conquistare la prima medaglia nipponica nell’atletica dopo 28 anni di assenza. E così, anche se il secondo posto sfuma, lo stadio lo acclama. Tutti sembrano essere consapevoli dell’impresa, tranne chi quell’impresa l’ha realizzata.

Tsuburaya alza la medaglia al cielo, si inchina ai fan e al palco dove siedono il principe ereditario e la principessa. Ma nel suo cuore divampa il fuoco della delusione, brucia la sensazione di non aver fatto abbastanza. Se Heatley lo avesse superato prima in gara, pochi si sarebbero accorti della rimonta che aveva subito: ne è convinto. E invece il soldato cede all’ultimo, lascia scivolare l’argento mentre il suo Paese lo osserva.

“Ho commesso un errore imperdonabile davanti al popolo giapponese”, confessa il maratoneta al suo compagno di squadra Kenji Kimihara. “Devo fare ammenda” aggiunge, puntando all’oro da conquistare alle successive Olimpiadi, quelle di Messico 1968.

Ma Tsuburaya a Città del Messico non arriverà mai. Desideroso di rivincita, il soldato esagera con gli allenamenti. Il suo corpo non è in grado di far fronte ai carichi e si ribella: lombalgia, lesione al tendine di Achille, interventi chirurgici e dolore.

A fare male c’è anche il cuore. L’atleta vuole sposarsi con Eiko, la ragazza che ama. Ma, come da tradizione, per farlo deve prima ricevere il permesso dei suoi superiori militari. Il suo allenatore e il suo comandante glielo concedono, ma un alto ufficiale si oppone: prima le Olimpiadi, poi il matrimonio. A quel punto la famiglia della fanciulla provvede ad annullare il fidanzamento per paura che la giovane possa essere lasciata prima: “un’onta” che renderebbe difficile trovare un altro marito. Le nozze sfumano.

Tsuburaya ha il cuore spezzato e, quattro anni dopo il bronzo a Tokyo, prende definitiva coscienza del fatto che il suo fisico non può più aspirare all’oro della rivincita. Così arresta la corsa della sua vita. Un giorno, in dormitorio, si recide la carotide destra. Ai suoi cari e a chi ha creduto in lui lascia poche righe.

“Caro padre e cara madre, il vostro Kokichi è troppo stanco per correre ancora. Per favore perdonatelo. È dispiaciuto di avervi preoccupato per tutto questo tempo. Caro padre e cara madre, Kokichi avrebbe voluto vivere al vostro fianco”, scrive. E al presidente del Comitato Olimpico giapponese invia le sue scuse: “Mi dispiace di non essere stato in grado di mantenere la promessa. Prego per il vostro successo ai Giochi del Messico”.

Aveva 27 anni.