di  MURIZIO MANDALINI

Osserviamo che la parabola discendente di Matteo Salvini somiglia a quella di Renzi. Grande exploit alle europee, in entrambi i casi un risultato che ha influito un nonnulla nel Vecchio Continente, un’esperienza di governo irrisolta (o risolta, dipende dalla prospettiva in uso), un restringimento del consenso elettorale, un competitor alleato, oggi, dalle stesse funzioni (Pd-5Stelle Lega-Fratelli d’Italia).

Nel run the global della politica italiana entrambi, Salvini e Renzi, sostengono Draghi con fervida convinzione in vista del prossimo presidente della Repubblica e della leadership della coalizione del centrodestra, per Salvini, e da Mr Wolf (risolvo problemi) per Renzi, un outsider della politica italiana intento a costruire, lo riassumiamo volgarmente, il partito di Draghi, un centro importante (non un aggregato di sigle ex democristiane senza voti) che di volta in volta si alleerà con il Pd o con la Lega per il governo del Paese (un progetto più facile a dirlo che a farlo).

C’è un tratto che unisce Salvini e Renzi, e quello che rimane di Forza Italia, la costruzione di una zona franca, una prateria del liberal, mai esistita in Italia, in sostanza i precetti distintivi di Urbani- De Martino-Pera della prima Forza Italia. E per molti versi le idee della prima Lega, le sole che si ricordano, quella di Miglio ideologo e il progetto federale dell’Italia attinto negli studi della Fondazione Agnelli: oggi non si capisce cos’è la Lega di Salvini, se non disordinati spot, dalla flat tax (in uso, un vero caos) ai migranti da respingere (meritorio, ma la strategia d’approccio è poca roba).

Nella contemporaneità pandemica Salvini spinge sulla libertà (no costrizione-obbligo-controllo) di scelta per il vaccino, il no al green pass, sui diritti e le libertà delle persone insiste il leader della Lega, non azzeccando per niente il timing. Il momento. Quando la stragrande maggioranza degli italiani è per il green pass e anche per l’obbligo vaccinale, il leader della Lega brandisce i temi della libertà, individuale, essendo per lo più incompreso, confuso per un sostenitore dei no Vax.

Pessima strategia, al forno, fusa, strinata. Salvini poteva ambire all’uniforme liberale in tempi non sospetti, pre pandemici, quando approvava nel governo Conte 1 il reddito di cittadinanza e quota 100. Due provvedimenti confezionati per i garantiti, sia i pensionati e la stragrande maggioranza dei senza lavoro di comodo. A quel tempo poteva forzare per esempio sulle libere professioni togliendo gli ordini professionali e il valore legale del titolo di studio (che avrebbe aperto a valanga una liberalizzazione senza precedenti, dall’Accademia ai mestieri) togliendo quell’odore di muffa di caste che ha deteriorato, dalla pubblica amministrazione alle libere professioni, ogni ordine e grado della Nazione.

Ma c’era pure altro da disporre, attingendo per esempio all’idee della Thatcher che per prima propose la responsabilizzazione degli inquilini delle case popolari offrendo loro la proprietà degli immobili come sostanziosa barriera al degrado dei quartieri periferici. Oppure quei lavoratori proprietari d’impresa per frenare il susseguirsi di crisi industriali votate al licenziamento degli operai.

Salvini ha perso la spinta propulsiva della Lega prima maniera nel momento che ha voluto una Lega nazionale, quella che al Sud era movimentata da spezzoni di vecchia Dc, poi commutata in un centrismo di comodo a sigle multiple. In pratica qualcosa d’inutile e per nulla collimante con una classe dirigente, quella della Lega, dinamica, audace, di pensiero e azione sedimentata nel Nord Italia.

Quella dei comandanti in capo, in campo, l’inossidabile Zaia e Fedriga, per citare alcuni nomi di presidente di regione, ma potremmo nutrire l’elenco di tanti altri amministratori e persone di governo di prestigio, si veda Giorgetti, che faticano comprendere la rincorsa salviniana verso la Meloni su temi, vaccino-green pass (si veda la paradossale presentazione di centinaia di emendamenti sul green pass), che richiedono solo di accantonare inutili e lunghe discussioni e decisioni, affermative, per il sì, senza distinguo dottrinali, che creano disorientamento (le affermazioni opache di Borghi) e remano contro gli stessi intendimenti leghisti mirati a legare ‘sconfitta prima che si può del virus’ e lasciapassare per la rapida ripresa economica.

Non giova a Salvini distinguersi, stressare, ammanettare Draghi quando invece basterebbe confrontarsi in modo silenzioso e appartato con il premier, coltivare questa esperienza che per sua natura e dna è più affine ai convincimenti liberaldemocratici (di Draghi) che alla marmellata del duo Pd-5Stelle, il primo coinvolto di malavoglia e il secondo alla ricerca di vendette.

Basterebbe a Salvini seguire Italia Viva e Forza Italia, i soli cuscinetti di Draghi, mai faziosi, sempre alla ricerca di mediazioni (si veda la legge Zan), vie di uscite (ma perché non lavorare silenziosamente insieme a Italia Viva e Forza Italia per caldeggiare un ricambio al ministero dell’Interno?), limature, evitando slabbrature estetiche di esigenza elettorale, non proprio convenienti, capendo definitivamente che la carta Draghi gioca a vantaggio della Lega e di Salvini nell’agone governativo, rigettando punti di riferimento, Orban per esempio,  che frenano la piena legittimazione del leader Matteo.

Come sarebbe stato intrigante vedere l’accoppiata Salvini e il professor Giulio Sapelli, Salvini deve riconquistare quel coraggio (quando sondò il professor Sapelli  per la carica di presidente del Consiglio, ci avrebbe evitato il Conte 1) e portarlo fino in fondo perché il passo di domani, con un rallentamento anagrafico del fenomeno Berlusconi, sarà la capacità di strutturare un cantiere di centro, popolare e di massa (la vera sfida), capace di attrarre personalità come Draghi, come Sapelli, che in altri spezzoni di storia sarebbero approdati di corsa nell’ex Pci oggi Pd.

La sfida di Salvini è questa. E se non la coglie lui c’è già una bella classe dirigente (perché non recupera quell’Alberto Brambilla grande esperto di previdenza e non solo?) pronta a raccoglierla. Il prossimo banco di prova sarà la gestione accorta del destino di Draghi e l’elezione del presidente della Repubblica. Due cardini connessi. Salvini si muova nella consapevolezza di voler quel costruire quel centro liberal che gli permetterà  di rigenerare la sua Lega ormai priva d’identità.