Bangkok, capitale della Thailandia, sta sprofondando di due centimetri l'anno, trascinata verso il basso dal peso eccessivo dei suoi grattacieli. La stessa sorte toccherà a Giakarta, la capitale dell'Indonesia che in gran parte finirà allagata entro i prossimi 30 anni. E a Colombo, nello Sri Lanka, a Ho Chi Min City, in Vietnam, a Mumbai, in India. Lo scenario non cambia se guardiamo più vicino a noi. Anche Venezia subisce lo stesso destino, sebbene scenda più lentamente, a una velocità di due millimetri l'anno.

Sono le conseguenze delle attività umane a fare affondare molte di queste città. L'effetto del riscaldamento terrestre causa l'innalzamento dei mari, mentre i fenomeni di subsidenza, ovvero il cedimento del terreno su cui è costruita la città, sono spesso legati ad attività estrattive. A volte accadono entrambe le cose.

Il mare sale, il suolo si abbassa - Secondo una ricerca dell'Unesco pubblicata su Science, entro i prossimi 20 anni circa 1,2 miliardi di persone e il 21% delle aree urbane saranno interessati da fenomeni di subsidenza causati principalmente dallo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche sotterranee. Un prelievo eccessivo e non regolamentato, legato alla necessità di soddisfare il fabbisogno di acqua di aree urbane esplose demograficamente e di un'agricoltura insostenibile anche dal punto di vista idrico. Lo studio mette in luce il fatto che la subsidenza è un pericolo globale e può determinare impatti ambientali, sociali ed economici rilevanti, danneggiando edifici e infrastrutture e aumentando il rischio di inondazioni.

L'altra variabile che mette a rischio la tenuta delle città è rappresentata dall'innalzamento del livello dei mari. Secondo uno studio di Climate Central pubblicato su Nature Communications, da qui al 2050 la crescita degli oceani potrebbe complessivamente mettere in pericolo circa 150 milioni di persone che vivono in territori che per quella data potrebbero venire sommersi, con costi umani ed economici incalcolabili.

Senza dubbio occorre agire subito per invertire questi processi, ma è chiaro che i benefici non si vedranno a breve. Nel frattempo ci troveremo a dover gestire lo spostamento di milioni di persone che fuggiranno da città scomparse o diventate invivibili. Dove andranno?

Tra le ipotesi allo studio c'è quella di realizzare insediamenti che non possono essere soggetti a questi problemi: città galleggianti. A questa soluzione sta guardando Un-Habitat, il Programma Onu per gli insediamenti umani il cui compito è favorire un'urbanizzazione socialmente ed ambientalmente sostenibile.

In particolare a riscuotere l'interesse di Maimunah Mohd Sharif, direttore esecutivo di Un-Habitat, è Oceanix, progetto sviluppato in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology. Oceanix potrebbe servire come estensione di una città costiera, come zattera di salvataggio per le comunità insulari inondate, o per fornire servizi mobili essenziali ai residenti di città soggette a inondazioni.

Dall'utopia alla sfida - Se in passato l'idea di costruire città galleggianti aveva un sapore di utopia, oggi assume piuttosto quello della sfida tecnologica. Del resto pensare al mare come luogo in cui vivere è meno strano di quanto possa sembrare. Le comunità umane hanno una lunga storia di vita sull'acqua: dai villaggi dei pescatori nel sud-est asiatico, alle esperienze in Perù fino ad arrivare alle recenti case galleggianti realizzate ad Amsterdam, a Schoonschip.

In mezzo ci sono stati i progetti utopici di Kenzo Tange per il Tokyo Bay Plan e di Buckminster Fuller per Triton City, tanto per citarne alcuni. Ma se oggi le tecnologie sostanzialmente sono disponibili, il problema è adottare un approccio a 360 gradi per realizzare città sicure, sostenibili e autosufficienti dal punto di vista energetico e degli approvvigionamenti.

Le piattaforme esagonali di Oceanix in pole position - L'idea di Oceanix - tra le più complete - è partita da Mark Collins Chen, imprenditore e poi ministro del Turismo della Polinesia francese, che ha affidato l'incarico di progettare una città galleggiante all'architetto danese Bjarke Ingels. "La tecnologia per costruire grandi infrastrutture galleggianti o abitazioni esiste già. Ora è una questione di scala; si tratta di creare sistemi e comunità integrati", ha dichiarato Marc Collins Chen.

Ancorata al fondo marino, Oceanix City sarà formata da gruppi di piattaforme esagonali su cui troveranno spazio non solo abitazioni, ma anche scuole, palestre, negozi, musei, strutture sanitarie. Pensata per ospitare 10mila persone, dal punto di vista energetico dovrebbe essere autosufficiente grazie a sistemi fotovoltaici, mentre buona parte del fabbisogno alimentare potrebbe essere coperta dall'allevamento dei pesci e dalla coltivazione. Il team progettuale sta anche studiando le tematiche legate alla gestione dei rifiuti e all'efficienza energetica.