Ora che il virus sembra aver ripreso a correre e che il tasso di positività costantemente risale, ci ritroviamo costretti a piangere nuovamente sul latte versato. Il governo attuale, tanto quanto quello precedente, non è corso ai ripari sul fronte della prevenzione dei contagi, potenziando i trasporti pubblici, differenziando gli orari di accesso alle scuole e ai luoghi di lavoro, incentivando aziende pubbliche e private a dotarsi di impianti di sanificazione dell’aria.

La nuova escalation del virus conferma che anche con una vaccinazione massiccia non si raggiunge l’obiettivo dell’immunità di comunità perché la durata della copertura di chi si è vaccinato varia da soggetto a soggetto e il green pass è un efficace strumento di controllo che però non esclude a priori la diffusione del Covid.

E allora ritornano alla mente le raccomandazioni, di un anno e mezzo fa, rivolte dal governo agli italiani, affinché scaricassero l’app Immuni per consentire un’attività di tracciamento dei contagi attraverso l’utilizzo di codici alfanumerici in grado di proteggere la privacy, ma anche di segnalare potenziali pericoli per la salute, dovuti all’incontro casuale con persone infette.

Le app di contact tracing, in Cina, Corea del Sud e Singapore hanno consentito, nelle fasi iniziali delle varie ondate, di rincorrere il virus e di isolare tempestivamente i focolai. Anche nel resto d’Europa, con app di tracciamento non intrusive, è stato possibile contenere la diffusione dei contagi. L’app Immuni, invece, nel nostro Paese è stata snobbata fin dall’inizio ed è prevalso lo scetticismo e il sospetto di quanti la ritenevano uno strumento di monitoraggio e di controllo delle nostre vite.

Peccato che quotidianamente ciascuno di noi scarichi sul proprio smartphone diverse app che profilano la navigazione online degli utenti e attingono in maniera invasiva al nostro serbatoio di dati personali e sensibili. Violenze quotidiane alla nostra privacy che passano sotto silenzio, mentre un anno e mezzo fa non abbiamo scaricato Immuni per paura di essere “spiati”.

E così facendo ora siamo ancora alle prese col nemico invisibile, che scappa e miete vittime, anche perché abbiamo commesso l’errore di non fermarlo per tempo con le preziose armi della tecnologia.

RUBEN RAZZANTE