Di CARLO CATTANEO

…scrive Marco Aurelio nei suoi Ricordi. “Tirannide” non è soltanto quella dell’uomo solo al comando. Tirannide ancor più pericolosa è quella delle “caste” nate nel sistema democratico, che molti filosofi del diritto, compreso Norberto Bobbio, considerano il male minore nella scelta fra le diverse forme di governo. In democrazia – che sulla carta significa “potere del popolo” – il demos elegge i propri rappresentanti ai quali conferisce il potere della gestione della res publica, la “cosa” pubblica, la vita di tutti noi, operando, appunto, in nostro nome e per nostro conto. Quando le decisioni sono sbagliate, alle successive consultazioni il popolo può mandare a casa chi ha fallito, perché ha voluto proteggere il bene personale invece del bene comune. Questo ci porta all’ultimo schiacciante esempio di vergogna istituzionale: il voto con cui la Giunta per le Elezioni del Senato della Repubblica italiana ha confermato sullo scranno senatoriale Adriano Cario, invece di riconoscere l’effettiva elezione di Fabio Porta. Cario fu incoronato in Argentina con i più massicci brogli che la storia del voto all’estero abbia mai registrato. Cario fu transfuga immediato dall’USEI (che lo candidò nel 2018) al MAIE dell’ex sottosegretario Ricardo Merlo, al quale garantì la breve riconferma sotto-ministeriale con il suo voto a sostegno della traballante presidenza di Conte. Lo stigmatizzano in molti, compreso Roberto Menia, Segretario generale del CTIM, Comitati Tricolori degli Italiani nel Mondo, voluti da Mirko Tremaglia per raggruppare la destra dell’universo degli italiani all’estero – checché ne dicano alcuni suoi esponenti che da anni li descrivono come “associazione apolitica”, per dire “apartitica”, contro ogni evidenza. Lo stesso Menia si congratula con La Gente d’Italia, che ha lanciato una petizione, motivata dai più alti princìpi della moralità, affinché il Senato in riunione plenaria rigetti questa “porcata” anti-istituzionale, che suona le campane a martello degli ultimi sussulti di legittimità e trasparenza dell’esercizio del diritto di voto con rappresentanza diretta da parte dei cittadini fuori d’Italia. Facciamo insieme un’altra analisi. Noi del Gruppo Carlo Cattaneo abbiamo riletto gli atti della II Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, datata dicembre 1988, e consigliamo a tutti di fare altrettanto. Nei suoi due interventi alle cerimonie di apertura e di chiusura, l’allora Ministro degli Affari Esteri, Giulio Andreotti, sostenne la necessità di conferire dignità costituzionale all’istituendo Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, paragonandolo al CNEL. In quella sede non si pronunciò ufficialmente sul voto all’estero, sicuro che, con il CGIE assurto a organo ausiliario dello Stato, la rappresentanza diretta degli emigrati sarebbe stata inutile, per non dire controproducente. Ma lo disse nel corso della lotta, durata dal 1993 al 2001, per la modifica costituzionale degli artt. 48, 56 e 57 della Costituzione, che creò la circoscrizione Estero. Sono passati 20 anni. A ogni tornata elettorale sono emersi brogli che hanno fatto entrare, alla Camera o al Senato, qualche pupillo di partito invece di parlamentari con cervello, idee, coraggio ed etica della carica. Le prime picconate al voto sono arrivate recentemente, con il permesso di candidare all’estero i residenti nel Bel Paese, per miracolare, unico esempio, l’ex conduttrice di un programma di RAI Italia, eletta senatrice nella ripartizione America settentrionale e centrale. Poco dopo, il numero già esiguo di 12 deputati e 6 senatori “esteri” è stato tagliato di un terzo, attribuendo per il futuro soltanto 8 deputati e 4 senatori a un numero di iscritti AIRE raddoppiato da 3 a 6.5 milioni dalle consultazioni del 2006 a oggi. L’attenzione all’Italia fuori d’Italia dei Governi che si sono susseguiti dall’inizio del terzo millennio ha pressoché cancellato il concetto stesso del popolo degli emigrati – poco raffinati, proletari, rivendicatori di diritti inalienabili, difesi soltanto a parole dalla riserva indiana degli eletti fuori dai confini – per sostituirlo tout court con quello degli esponenti della nuova mobilità, tutti giovani, belli, eleganti, plurilaureati, pieni di successo e interlocutori privilegiati della “casta” che abita la Farnesina. Sia la prima che la seconda lettura della realtà è del tutto sbagliata. Le elezioni dei Com.It.Es., indette contro ragione ed evidenza in periodo di COVID – forse convinti che avrebbero vinto soltanto gli dei dell’Olimpo della nuova mobilità, geniali detentori di fulgide conquiste – hanno invece registrato un flop assoluto delle percentuali di opzione inversa e di liste di vero rinnovamento. Ora più che mai, quindi, gli italiani all’estero hanno bisogno di una voce solida e riconosciuta per essere ascoltati nelle stanze dei bottoni. La nostra proposta è che si proceda subito a un’urgentissima riforma, anche costituzionale, che faccia votare gli italiani all’estero alle elezioni politiche nelle rispettive Regioni di origine, invece che per inani rappresentanti diretti interessati soltanto a garantirsi la ricandidatura concessa ai bravi soldatini di partito. In passato si era obiettato a questa ipotesi, perché l’emigrazione tradizionale proveniva in stragrande maggioranza da alcune Regioni del Sud. Ciò non è più vero, perché i dati ISTAT ci confermano che la maggior parte dei nuovi expat fugge dalle Regioni del Centro Nord, riequilibrando le presenze. La massa critica del voto potenziale di più di 4.5 milioni di elettori farà sì che anche i partiti più restii comincino a prendere in considerazione il potere e le esigenze di chi non vive nello Stivale, ma promuove quotidianamente il Sistema Paese e l’Italia nel mondo. Chi ha il coraggio di riconoscere la logica e la correttezza di quanto proponiamo si affianchi a noi, per il bene di tutti. VInceremos!