Non stiamo dando i numeri al Lotto. Le prime quattro date sono gli anni in cui si definisce la cittadinanza italiana, anche per chi vive o nasce all’estero. Nel 1861 viene  proclamata l’Unità d’Italia, cui il re Vittorio Emanuele II estende  lo Statuto albertino che dichiara all’Art. 24: “ Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge”, ovviamente tranne le donne. Nel 1912, quando l’emigrazione è considerata “valvola di sfogo”, è approvata la legge 555, che all’Art 1 stabilisce: “È cittadino per nascita il figlio di padre cittadino”. Il 1948 è l’anno in cui entra in vigore la Costituzione italiana, che all’Art. 3 riconosce la parità uomo-donna: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”, ergo anche le donne possono finalmente trasmettere la cittadinanza jure sanguinis ai propri figli. Ma bisogna attendere il 1992 affinché siano cancellate le restrizioni che comminavano la perdita della cittadinanza italiana a chi si naturalizzava cittadino straniero. Il 2022, infine, è l’anno in cui auspichiamo che finalmente si metta mano a un profondo riassetto della normativa sulla cittadinanza. Perché? Molto semplice e molto complicato al tempo stesso. La rete diplomatico-consolare sta sfilacciandosi e non riesce a fornire in tempi ragionevoli i servizi richiesti, incluso il normale rinnovo del passaporto. Questo succede dappertutto e, in particolare, in America Latina, ove i Consolati sono schiacciati da montagne di richieste di “riconoscimento” di una cittadinanza italiana che risale al quadrisavolo, magari emigrato prima dell’Unità d’Italia, dimostrata con documenti di provenienza incontrollabile, specie in Paesi privi di un’anagrafe storicamente precisa. I risultati nefasti di questa realtà non si fermano all’intasamento insanabile del lavoro della rete consolare. I miracolati dalla concessione della cittadinanza tramite l’antenato di un secolo fa, forse inesistente, vogliono il nostro passaporto soltanto come legittima documentazione che consenta loro di emigrare verso il nord America oppure verso i Paesi dell’Unione europea di cui parlano la lingua, spagnolo o portoghese che sia. Non devono superare alcun esame che comprovi la conoscenza dell’italiano, della nostra Costituzione e della nostra cultura, ma possono esercitare tutti i nostri diritti civili e politici. Il peso dei numeri di molti di questi “italiani”, che in realtà sono “opportunisti pseudo italiani”, si sente nelle consultazioni politiche e referendarie, quando tutti gli iscritti all’AIRE ricevono il plico. Vi siete mai chiesti perché in ognuno di questi casi la partecipazione al voto stenta ad arrivare al 30-40%? Vi siete mai chiesti di chi sono i plichi con i voti falsificati a favore di Cario in Argentina? Molti falsi “itagnolli”, che non hanno alcun interesse a votare per un Parlamento o una legge, di cui non sanno nulla, consegnano il plico a capibastone pronti ad aiutarli. In un certo senso è addirittura meglio quando buttano il plico nel cestino. Il problema nasce dall’Art. 9 della legge n. 91/1992, che recita: “ La cittadinanza italiana può essere concessa… allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita” e crea l’istituto del “riconoscimento” della cittadinanza a chi può risalire in linea retta a un lontano ascendente presumibilmente italiano. Questa legge prevede anche il “riacquisto” della cittadinanza da parte di un vero cittadino italiano, che l’ha perduta ai sensi dell’Art. 8 della legge 555/1912 per cui: “Perde la cittadinanza chi spontaneamente acquista una cittadinanza straniera”. La legge del 1992 ha fissato all’agosto del 1997 la scadenza tassativa per la presentazione della domanda di “riacquisto”, ma contiene l’assoluta aberrazione per cui non esiste alcun termine per le domande di “riconoscimento”. Chiediamo quindi, con forza, che si approvi subito una legge che limita la trasmissione della cittadinanza attraverso le generazioni, come succede in  molti altri Paesi. Più precisamente proponiamo che il nato all’estero da genitori di prima emigrazione nasca italiano, ma i suoi figli abbiano una “cittadinanza quiescente” non ulteriormente trasmissibile, che si trasforma in cittadinanza a pieno titolo se questi nipoti vanno effettivamente a vivere in Italia. Lo stesso vale per il riconoscimento in ascendenza soltanto fino al nonno che, a sua volta, consente solo la cittadinanza quiescente. Non bisogna inventare nulla di nuovo. La “cittadinanza quiescente” fu prevista e istituita dall’Italia negli anni ’70, per proteggere gli italiani in Argentina al tempo dei desaparecidos. La legge che invochiamo dovrà anche sanare un vulnus sanguinante, che tormenta i cittadini italiani naturalizzati prima del 1992, consentendo a tutti loro in qualsiasi momento il riacquisto della cittadinanza perduta. Il guanto della sfida è gettato a chi può e deve intervenire. La nostra battaglia inizia ora e non si fermerà fino a quando raggiungeremo il successo.  

(Carlo Cattaneo)