di Maurizio Guaitoli
 
Rosso o Verde? Secondo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i “Sì vax” e “Sì Green pass” battono i loro diretti avversari del “No” con il punteggio netto di “Nove a uno”. Ma, a questo punto, vale la pena chiedersi quale sia la posta in gioco di chi (si direbbe a rischio della propria vita) rifiuta l’addizione vaccinale per proteggersi dalle conseguenze più gravi del Covid-19, quali morte, passaggio traumatico in terapia intensiva e long Covid. Le ipotesi a sostegno del rifiuto sono, per certi versi, antiscientifiche, ma per una parte non trascurabile fanno leva sulle profonde contraddizioni che la stessa scienza e i suoi protagonisti (Big Pharma compresa!) hanno messo in campo fin dall’avvento della pandemia. Si inizia a sragionare in una babele di voci e di pareri contradditori, da parte di qualificati esperti di settore (onnipresenti sui media), clinici, virologi, immunologi e rianimatori, sugli effetti del vaccino europeo di Astrazeneca.
Farmaco quest’ultimo apparentemente boicottato dai concorrenti americani e auto-danneggiato dalla propria insipienza e incapacità interna, a proposito di tecniche comunicative, piuttosto naif, relative alle procedure di somministrazione e ai possibili, rari danni collaterali post vaccino. Tutti ricordano in merito la confusione che ha riguardato l’estensione della vaccinazione alle varie fasce di età, tra consigliate e interdette, per finire alle improvvide e fin troppo intempestive assicurazioni sulle ipotesi di durata dell’immunizzazione, per quanto riguardava i vaccini più performanti, come quelli di Pfizer e Moderna. Ora, desta francamente qualche sospetto che la responsabilità di quest’ultima Quarta Gobba europea della pandemia sia esclusivamente attribuibile alla componente che, per vari motivi (in parte ideologici, e per il resto psicologici e sociologici), ha deciso di non vaccinarsi comunque, o continua a permanere nel limbo degli indecisi.
Pur di convincerla, si stanno mettendo a punto in Europa (che attualmente risulta il continente più colpito, per quanto riguarda sia la sua parte centrale che orientale) varie tecniche coercitive, che vanno dall’interdizione dell’accesso ai luoghi collettivi di svago e di tempo libero, al divieto di utilizzo dei trasporti pubblici, ritenendo validi i tamponi antigenici (rapidi) solo per quanto riguarda l’accesso ai luoghi di lavoro. Ovviamente, sono fondate sui grandi numeri le motivazioni statistico-sanitarie che suggeriscono di ridurre la durata del Green pass, sia per il tampone genetico che per quello molecolare, rendendone quindi particolarmente oneroso e disagevole il ricorso frequente.
In merito, le ragioni scientifiche e l’esperienza acquisita nel tempo puntano alla scarsa affidabilità delle risposte dei test, per finire politicamente (essendo impossibile calibrarlo sul singolo individuo!) a fissare un limite di durata per quanto riguarda la validità del tampone. Il che è in qualche modo ovvio, dato che se si è negativi in un determinato giorno, lo si potrebbe non essere statisticamente in quelli immediatamente successivi. Il discorso, invece, è molto diverso se si è vaccinati: ci si può contagiare, ma, se si usano i presidi consigliati (mascherina, igienizzazione delle mani e distanziamento) la probabilità di trasmettere il virus a qualcun altro scende a percentuali bassissime. Tuttavia, quello che alimenta le piazze della protesta “No vax/No pass” è la manifesta inadeguatezza delle istituzioni di Governo e sanitarie, per quanto riguarda l’adozione di misure contingenti e strategiche relative al contenimento della pandemia.
Mancano del tutto, in tal senso, le politiche comuni europee per il contrasto alla diffusione del virus che non conosce frontiere, per cui alla fin fine ogni Stato membro si comporta un po’ come crede. I confini nazionali continuano a rimanere aperti, mettendo a contatto tra di loro le aree in cui il picco dei contagi è più alto con quelle meno colpite, mancando del tutto parametri comuni su come stabilire la colorimetria del contagio, con le connesse tipologie di controlli e di protocolli standardizzati di prevenzione e cura. Tanto più che, soprattutto per quanto riguarda i Paesi comunitari dell’Est, le loro popolazioni risultano mediamente molto meno vaccinate in percentuale (diffidando tradizionalmente dell’affidabilità istituzionale delle loro autorità di governo e sanitarie!) di quelle del versante occidentale. Per non parlare poi delle coperture immunitarie di coloro che sono stati vaccinati con dispositivi farmacologici (vedi Sputnik) non riconosciuti dall’Ema e, comunque, dotati obiettivamente di una efficacia nettamente inferiore a quella di Pfizer e Moderna, per quanto riguarda la copertura immunitaria a breve-medio termine.
Lo scontro finale, però, attiene alla questione mandatory (come dicono gli inglesi), ovvero dell’imposizione dell’obbligo del vaccino con norma di legge, che mette in gioco la responsabilità dello Stato per eventuali danni collaterali agli assuntori, ma non garantisce in nulla, una volta adottato, che venga aggredito lo zoccolo duro dei contrari. Questi ultimi però, a quel punto, subirebbero sanzioni ben più coercitive di quelle dettate dalle attuali condizioni soft del Green pass. Politicamente, infatti, nulla cambia per coloro che contestano in toto la coercizione di libertà costituzionalmente garantite (lavoro, tempo libero) per quanto riguarda l’applicazione di misure restrittive ai non vaccinati. Un fenomeno, utile a misurare la temperatura delle forme più estreme della protesta, riguarda le iniziative di ribellione connesse con le pratiche azzardate dei Corona-party, in cui persone giovani (e non!) si riuniscono con potenziali positivi per contrarre (debolmente, si spera) una carica virale sufficiente a infettarsi ma, nell’ipotesi, insufficiente ad ammalarsi seriamente, dato che una volta guariti si avrebbero gli stessi identici diritti e privilegi dei vaccinati. Ma, anche qui: quante volte ci si deve ammalare per immunizzarsi a vita?
Tuttavia, a parte tali atteggiamenti estremi, il mondo scientifico e con esso la politica deve cercare di dare risposte serie a quesiti fondamentali, del tipo seguente. Primo: qual è il periodo critico di durata della copertura immunitaria tra una vaccinazione e l’altra? Secondo: sono stati valutati e in qualche modo calcolati i rischi di vaccinazioni ripetute e ravvicinate nel tempo? Terzo: quali sono gli interessi extra-sanitari che fanno dire a Big Pharma “vaccinatevi, vaccinatevi” a cadenze regolari e ravvicinate? È veramente una cosa vitale per la sopravvivenza, o si tratta di puro business? Infine: in costanza della globalizzazione attuale (piuttosto sregolata), che cosa c’è da aspettarsi come ricadute negative dal fatto che interi continenti non sono vaccinati, e non hanno alcuna possibilità organizzativa di provvedervi nel medio-lungo termine? Va bene l’equilibrio raggiunto dall'Inghilterra che accetta l’endemizzazione dei contagi, con una bassa mortalità connessa, mantenendo aperto il Paese? Qui, si vorrebbe davvero poter conoscere quanto un mostro naturale come il Covid-19 sia in grado di mutare per aggirare il sistema immunitario, e come debbono cambiare le società moderne per cercare di contenerne gli effetti nei prossimi dieci anni. Intanto, la crisi mondiale da Covid gonfia le vele della protesta di massa, che più malpancista non si può, essendo dettata da un malessere profondo innescato dalla globalizzazione incontrollata, dalla conseguente precarizzazione del lavoro soprattutto giovanile, e che trova copertura nel disagio pandemico. I maldestri naviganti (della politica) sono avvertiti.