di Ugo Magri

 

Sergio Mattarella ha disegnato l’identikit del Successore Ideale, suggerendo come scegliere personaggi all’altezza ed evitare quelli che sul Colle sarebbero una sciagura. Senza far nomi e cognomi, ci mancherebbe; però fornendo la check-list di tutte le qualità indispensabili per svolgere la funzione presidenziale, e dunque additando il modello che i grandi elettori dovrebbero tenere a mente quando si pronunceranno sui vari Draghi, Berlusconi, Gentiloni, Cartabia, Pera, Casini e Amato. Questo utilissimo “vademecum” si trova nel sito del Quirinale, pubblicato nella sezione “Discorsi”. Il presidente ne ha dedicati ben nove ai suoi dieci predecessori, profittando dei vari anniversari. È rimasto fuori il solo Giorgio Napolitano perché, fortunatamente per noi e per lui, non può essere ancora commemorato. Di ciascun presidente Mattarella ha tracciato il profilo, sbilanciandosi su ciò che merita di essere preso a esempio e sorvolando educatamente sul resto. La circostanza non è sfuggita a due intraprendenti studiosi, Giacomo Delledonne e Luca Gori, i quali hanno spulciato riga per riga i nove discorsi e ne hanno spremuto il succo per la rivista Quaderni costituzionali (Fascicolo 2, 2021). Ecco che cosa è venuto fuori.

Anzitutto, per Mattarella il Presidente ideale non è un politico di professione, che nella vita normale ha combinato poco. Segnala quanto di buono hanno fatto i predecessori prima e al di fuori delle campagne elettorali, dei congressi di partito, delle scalate ministeriali. Luigi Einaudi - per dire - era un grande cattedratico. Antonio Segni e Francesco Cossiga professori universitari. Oscar Luigi Scalfaro un magistrato (l’ultima condanna a morte in Italia venne comminata da lui). Carlo Azeglio Ciampi fu governatore di Bankitalia, padroneggiava l’economia. Giovanni Gronchi, da sindacalista, aveva combattuto nella trincea del lavoro. Soltanto Sandro Pertini e Giuseppe Saragat non avevano un biglietto da visita, ma, giù il cappello, si erano guadagnati umilmente la paga da esuli durante il Fascismo. Chi sarebbe titolato tra i candidati odierni, con questo criterio indicato da Mattarella?

Super Mario Draghi passerebbe di sicuro l’esame meritocratico. Ma in fondo pure Silvio, che ha tirato su interi quartieri e ammorbato l’Italia con le sue tivù: come “uomo del fare” direbbe la sua. Marta Cartabia, oltre che titolata in quanto donna, è stata presidente della Corte costituzionale come Sabino Cassese. Giuliano Amato lo diventerà a gennaio, ma la sua competenza giuridica è acclarata. Marcello Pera, papabile del centrodestra, è filosofo della scienza. Uno che non raggiunge lo standard è Pierferdinando Casini perché fin da ragazzo fu contagiato dal morbo della politica, e seguì la sua passione. Ma non è del tutto fuori gioco perché Mattarella segnala un’altra caratteristica comune ai suoi predecessori: l’esperienza parlamentare.

Ben otto su dodici erano stati, prima di salire al Colle, presidenti della Camera o del Senato. A cominciare dall’apparentemente ingenuo Pertini, tutti sapevano districarsi da vecchie volpi evitando trappole e agguati. Domanda che ne consegue: quali, tra i candidati odierni, se la potrebbero cavare altrettanto bene? Qui Casini vince alla grande dal momento che è stato presidente della Camera e, quanto a dimestichezza con la giungla politica, nessuno lo batterebbe (siede in Parlamento da 38 anni, nove legislature). Anche il professor Pera ha presieduto un ramo del Parlamento, non per nulla Salvini lo tiene di riserva. Ci sarebbe pure la Casellati che però nessuno considera, chissà perché. Tra gli ex presidenti si annoverano Laura Boldrini, Irene Pivetti, Pietro Grasso, Renato Schifani. Roberto Fico non può concorrere solo perché è troppo giovane altrimenti magari un pensiero ce lo farebbe. Eppure sulla bocca di tutti c’è Draghi, solo ed esclusivamente Draghi, che prima di diventare premier non aveva mai nemmeno messo piede in Aula (dove difatti viene vissuto con sospetto).

A onor del vero, neppure Ciampi era stato eletto deputato o senatore; nonostante fosse un alieno, i partiti lo incoronarono al primo tentativo. Singolare fenomeno che Mattarella spiega così: nel curriculum di Carlo Azeglio è stata decisiva l’esperienza da premier. Ciampi l’aveva maturata, dunque non era certo considerato un pivello. Difatti da presidente della Repubblica se la sbrigò alla grande, con quell’aria da nonno sereno che lo rese popolarissimo. Applicando gli stessi parametri di “nonno” Ciampi, pure Super Mario avrebbe le carte in regola per succedere a Mattarella. Idem gli ex premier Berlusconi e Amato (come del resto Romano Prodi, Paolo Gentiloni, Enrico Letta e Giuseppe Conte che però non entrano in pista o, nel caso di Matteo Renzi, devono ancora varcare la soglia del mezzo secolo necessaria per candidarsi). Viceversa il curriculum di Cartabia difetta sull’esperienza perché lei e la politica non si sono ancora incontrate. Lecito interrogarsi su come ne verrebbe fuori se, appena insediata sul Colle, dovesse gestire un impazzimento generale. Per certe imprese serve pelo sullo stomaco, direbbero a Oxford. Se non sai dove mettere le mani, ti saluto.

C’è poi un’ultima caratteristica che accomuna tutti i predecessori (e Mattarella puntualmente segnala): devono capire di politica estera. Avere una visione larga. Saper distinguere tra America, Russia e Cina. E ricordarsi che un presidente della Repubblica ha tre riferimenti: l’Onu, l’Europa, la Nato. Rappresentano le costanti della politica estera italiana che l’inquilino del Colle deve mettere al riparo dalle oscillazioni di maggioranze e governi. In pratica che cosa significa? Che il successore di Mattarella, secondo Mattarella, potrà e anzi dovrà essere un patriota; però non sovranista e nemmeno compare di Putin.