di Lucio Fero

Draghi e Mattarella, Mattarella e Draghi: le lingue, spesso biforcute, di tutti i partiti hanno per settimane cantato le lodi e declinato le ragioni e le opportunità perché i due restassero dove sono, al Quirinale e a Palazzo Chigi. Draghi e Mattarella, chi meglio di questi tempi hanno detto quasi tutti e quasi tutto assentivano: il Pd di Letta, M5S di Conte, Forza Italia fino a che Berlusconi non ha sognato di diventare Presidente niente meno che della Repubblica, la Lega di Salvini.

Perfino l’antagonista per definizione Meloni non manifestava scandalo e indignazione all’idea del mantenere dove sono Draghi e Mattarella, Mattarella e Draghi. Parlavano tutti o tutti assentivano o tutti si acconciavano appunto con lingua biforcuta, con animo doppio o con l’impossibilità di essere altro da quello che i partiti, questi partiti, qui e oggi sono.

Non possono i partiti davvero sostenere il proseguire in coppia di Draghi e Mattarella. Non possono se lasciati alla loro libera e naturale azione. Non possono perché i partiti sono l’anti sistema, altro che il populismo. La stabilità e le garanzie incardinate nella coppia Draghi-Mattarella sono per i partiti una cella di protezione. Protezione, ma pur sempre una cella. Una cella di contenzione dalle pareti morbide contro le quali i partiti non possano sfasciarsi la testa in atti di autolesionismo, ma pur sempre una cella. I partiti sono, qui e oggi, loro il populismo, ne sono completamente colonizzati. E nella cella di contenzione della stabilità e responsabilità soffrono del non poter esercitare la loro libera corsa all’instabilità sgravata di ogni responsabilità.

Il sistema dei partiti non vuole Draghi presidente della Repubblica, al massimo i partiti un Draghi al Quirinale potrebbero subirlo come una lunga e pesante punizione. Quando dicono “riscatto della politica” dicono che non vogliono Draghi al Quirinale, dicono che non vogliono presidente della Repubblica qualcuno che possa agire e anche solo pensare fuori dalla logica di sviluppo e sopravvivenza dei…partiti. Non vogliono al Quirinale un Commissario della realtà, non vogliono che il populismo che è ormai l’essenza dei partiti possa subire il commissariamento della realtà, prima fra tutte quella economico-finanziaria. Quindi i partiti vogliono (a grandissima maggioranza e dopo corale e  massiccia dissimulazione) un altro al Quirinale e non Draghi presidente della Repubblica. Ma nello sceglierlo e volerlo (e probabilmente votarlo) questo altro si dividono e si spaccano.

E’ praticamente una equazione: se il capo dello Stato viene eletto da una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo, allora quella che sostiene il governo diventa quella che sosteneva il governo. Se Lega, Forza Italia, Pd, M5S non votano ed eleggono insieme lo stesso candidato capo dello Stato, il giorno dopo non stanno più insieme al governo, al governo con Draghi presidente del Consiglio. Un altro al posto di Mattarella che non sia Draghi, un altro che non sia votato da tutti tranne forse Fratelli d’Italia e via Mattarella per scadenza mandato e poi via anche Draghi dal governo per scaduta intesa politica.

La maggioranza ora di governo se non elegge insieme un capo dello Stato si spacca in chi ha vinto e chi ha perso la battaglia del Quirinale e quindi in chi si sfila e si chiama fuori dal governo che c’è per ebbrezza di vittoria o di sconfitta. Quindi crisi di governo e governo di paglia fino al 2023 o elezioni anticipate nel 2022. Questo quel che va ad accadere se i partiti seguono il loro istinto e la loro natura che entrambi loro comandano e suggeriscono la strada per fare a meno di Draghi e Mattarella, Mattarella e Draghi: il “primato della politica” li attira come l’anello di Frodo nella saga e fa su di loro lo stesso effetto.