Presidente
L'Aula della Camera dei Deputati (foto: www.camera.it)
DI PIETRO MARIANO BENNI
 
SERGIO MATTARELLA, MARIO DRAGHI e un bel pezzo di Parlamento che li ha fortemente voluti: diarchia o triumvirato sui generis? Affonda le radici nella storia anche precristiana la pratica di un governo affidato a due uomini o comunque a due centri di potere che agiscono insieme per il bene di una comunità o purtroppo talvolta per il bene esclusivo degli stessi diarchi o di almeno di uno dei due.
Un excursus storico dovrebbe partire dai re di Sparta, ricordare Romolo e Tito Tazio a Roma, sfiorare Giulio Cesare (e il dimenticato Marco Calpurnio Bibulo) ma certamente sottolineare Marco Aurelio e Lucio Vero e soprattutto il dichiarato progetto diarchico di Augusto per i nipoti Gaio cesare e Lucio Cesare che, morti prematuramente, vennero sostituiti da un altro nipote, Agrippa Postumo, poi diseredato e in esilio, e dal figliastro Tiberio. Vicende complesse  quelle della  diarchia  che oggi sembra sopravvivere solo ad Andorra, San Marino e forse nello staterello africano di eSwatini, Swaziland fino a qualche anno fa. Per non parlare dei triumvirati tra i quali ha lasciato  forse un segno positivo nella Storia forse solo quello di Ottaviano, Antonio e Lepido, durato 10 anni. In tempi a noi relativamente vicini si possono ricordare tra il 1811 e il 1815 i triumvirati delle Province Unite del Rio della Plata, entità che precedette la nascita dell' Argentina nel 1816. Vicinissimo a noi un altro genere di triumvirato non proprio tale e non proprio benvisto: la malfamata troika che qualche anno fa tentò di affrontare e gestire la crisi greca. Il lemma, di origine russa, si riferisce ai cavalli e vuol dire terzina piuttosto che triumvirato ma i contorni delle due situazioni possono concettualmente sovrapporsi.
 
NULLA A CHE VEDERE  in realtà la rielezione di Mattarella con le vicende storiche  sinteticamente e superficialmente finora  accennate proprio allo scopo di attuare questo distinguo. E' stata invece evidente la convergenza di tre forze, due galantuomini e una buona e bella parte del Parlamento che - ad onta di alcuni dei suoi maggiori esponenti e segretari di partito - ha prima suggerito e poi imposto, anche ai vaneggianti capi politici, la migliore, forse l'unica, soluzione possibile allo sgangherato algoritmo pseudo-politico maleficamente costruito per una settimana da politicanti incapaci di vedere al di là della punta del loro naso. Contro un'orgia a tratti oscena di comportamenti e proposte di nomi spesso privi di senso rispetto alle possibilità di essere eletti, senza rispetto alcuno per gli stessi presunti candidati, hanno cominciato a prendere forma, tra i banchi dei famosi peones, i parlamentari che di solito contano di meno, le cinque punte dello stellone d'Italia, capace di spuntare quando meno te l'aspetti. Proprio grazie ai peones questo parlamento in cui hanno avuto luogo oltre 300 cambiamenti di appartenenza ha riacquistato dignità e capacità salvifiche per il Paese, mettendo in berlina i falsi e interessati tribuni della plebe, gli autoproclamati avvocati di tutti e le tetragone, furbe, opposizioni preconcette.
 
UN GRAN SOSPIRO DI SOLLIEVO ha percorso lo stivale, quasi un vento di primavera, al 759simo voto per Mattarella che già ai primi di dicembre alla Scala di Milano e poi in molte altre circostanze era stato ripetutamente oggetto di corali richieste di bis. La tensione e il malumore accumulati dal 24 gennaio sono quasi evaporati nella certezza che i nani e le ballerine delle forze del male erano stati ancora una volta incredibilmente spazzati via. E almeno uno dei due Mattei nazionali, quello che già sette anni fa aveva candidato Mattarella, aveva incondizionatamente o quasi sostenuto la scelta giusta (absit iniuria verbis per il secondo Matteo e la sua sbracata ubriacatura di innumerevoli finte proposte di candidati). Eppure, neanche concluso il sospiro di sollievo della maggior parte del Paese, da parte di alcuni sono cominciati gli speciosi e inutili interrogativi: ma ora il governo sarà piu' forte o piu' debole, e Draghi che potrà mai fare, e Draghi voleva essere lui presidente, e la campagna elettorale per le elezioni generali del 2023 sarà un ostacolo insormontabile, e, e, e...  Ma basta, basta, basta davvero! Il Paese ha bisogno di essere piu' che unito contro l'emergenza economica, sociale e pandemica. realizzando presto e al meglio le riforme necessarie per ottenere gli indispensabili fondi europei che condizionano pesantemente il nostro futuro. Draghi si era detto un nonno al servizio del Paese; io la vedo un po' diversamente: stringiamoci tutti senza esitazioni intorno a nonno Sergio e zio Mario, per una diarchia familiare, un'EUDIARCHIA, una benefica doppia guida, sostenuta  e rafforzata da tutta la famiglia della gente d'Italia entro e oltre i confini nazionali, a cominciare da quella parte del Parlamento e dei delegati regionali che da umili ma saggi, coraggiosi e generosi peones son riusciti a impedire un vero incombente disastro nazionale.  Ma soprattutto grazie concittadino Sergio, grazie davvero e di cuore!