Coronavirus
(foto depositphotos)

Medici in sciopero nei giorni 1 e 2 marzo, gli eroi del Covid già dimenticati. Prima tanti elogi, dopo solo silenzi.

Limitati i risarcimenti per i medici morti. Orecchie da mercante su legittime denunce. Tipo ferie saltate, organici ridotti, mancanza di tutele, burocrazia aberrante. Dulcis in fundo il mancato indennizzo alle famiglie dei medici deceduti per il virus.  Lo Stato ha detto no, rifilando uno schiaffo clamoroso e inatteso. Risultato: sciopero. I medici chiuderanno i loro ambulatori due giorni (1-2 marzo). E il 2 marzo, a partire dalle 9, protesteranno davanti al Ministero della Salute. Non ne possono più. Speranza è avvisato. Quando “i buoni” si arrabbiano, sono dolori.

Sono il Smi e il Simet. Cioè una formazione nuova e la più antica. La prima abbraccia medici che operano in tutti i settori della Sanità (ospedalieri, pediatri, medici di famiglia, guardie mediche, specialisti ambulatoriali, medici in formazione, 118). La seconda ha profonde radici nella storia rappresentando il medico condotto. Con loro, a rafforzare l’alleanza, c’è la FP Cgil. Un tris pronto a dare battaglia a tutto campo.

Il malessere dei camici bianchi è tracimante. La bocciatura al Senato del provvedimento che prevedeva i ristori alle famiglie dei medici morti , ha prodotto indignazione. Di più: una risoluta ribellione. I malumori covavano da due anni. Ed ora esplodono. L’Italia ha dovuto affrontare una crisi sanitaria senza precedenti, con gravi carenze organiche di professionisti sanitari e materiali di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale, applicando modelli organizzativi nuovi, trasformando rapidamente  le strutture ospedaliere. Un grande lavoro.  Un impegno di forze fisiche e psichiche  notevole, oltremodo dispendioso. Un incalcolabile sacrificio.  Una lucida sottomissione al sacro lavoro. Costi quel che costi.

A questo doloroso bilancio va aggiunto quello degli infermieri. Altri numeri alti. Già prima della emergenza pandemica  il Sistema Sanitario Nazionale versava in una profonda crisi.  Ciononostante il personale sanitario ha saputo reggere. Per settimane è stato al centro dell’opinione pubblica. A tratti elevati ad eroi in quanto in prima linea sul fronte di una emergenza sanitaria che ha travolto il Paese.  Non si contano storie, commoventi e al tempo stesso esaltanti, di medici coraggiosi, financo temerari, che hanno dato la vita per curare il prossimo.  Il primo decesso di un medico si è registrato l’11 marzo 2020 a Varese. La prima dottoressa è morta (in Veneto) qualche giorno dopo.

La ribellione è già cominciata in Veneto. Per tre giorni alla settimana – da lunedì a mercoledì – i medici di famiglia dicono stop ai fascicoli sanitari elettronici, alle ricette dematerializzate, alle prescrizioni online. Nessuna comunicazione  sarà inviata per e-mail. Cari pazienti vi servono dei documenti? Venite a prenderli  direttamente negli ambulatori medici. Così è se vi pare. E così sarà fino ad aprile. Lo sciopero di marzo è anche un appello al ministro in difesa del cittadino. Tre milioni di italiani sono senza medico di famiglia, le ambulanze del 118  non hanno un medico a bordo. È in corso una strisciante privatizzazione della medicina generale. I giovani medici scappano all’estero. Le nostre Università li preparano (bene), il cittadino paga (tasse), gli stranieri  se li spupazzano. C’è qualcosa che non torna.