Vladimir Putin (foto depositphotos)

“Se gli attacchi sono diretti intenzionalmente contro la popolazione civile questo è un reato. Se gli attacchi sono diretti intenzionalmente contro obiettivi civili questo è un reato. Non ci sono giustificazioni legali, o scuse, per attacchi indiscriminati o sproporzionati contro la popolazione civile”. Così si conclude un lungo messaggio di Karim Khan, procuratore della Corte Penale Internazionale pubblicato sul sito del suo Ufficio l’11 marzo scorso per aggiornare sulla mobilitazione in corso per documentare le violazioni del diritto umanitario internazionale in Ucraina.

Il diritto umanitario internazionale, in estremissima sintesi, include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone che non prendono, o non prendono più, parte alle ostilità e pongono limiti all'impiego di armamenti, mezzi e metodi di guerra. Da 20 anni esiste un’istituzione, la Corte Penale Internazionale che ha competenza su queste violazioni; anche se lo Statuto che ha creato questa giurisdizione si chiama Trattato di Roma, l’Italia non ha ancora del tutto terminato l’adeguamento dei nostri codici agli impegni previsti da chi ratifica quel documento. Non è, forse, un caso che chi in passato ha manifestato simpatie putiniane continui a ritardare l’adeguamento dei nostri codici…

Se, ragionevolmente (anche se in tempi di guerra la ragione difficilmente viene arruolata) non ci sono dubbi sulla dinamica e l’inizio della guerra e dei suoi “motivi”, documentare come questa viene portata avanti potrà contribuire a poter assicurare alla giustizia internazionale chi l’ha decretata e chi l’ha organizzata sul campo da solo o con alleati interni ed esterni.

In quello stesso messaggio, il procuratore Khan ha sollecitato “contributi finanziari volontari” nonché la possibilità di inviare “esperti nazionali” per concorrere alle ricerche per “consentire di affrontare efficacemente tutte le situazioni attualmente oggetto di indagine o in corso di preparazione”.

Il 28 febbraio 2022, Khan anche aveva annunciato di aver chiesto l'autorizzazione ad aprire un'indagine sulla situazione in Ucraina. La decisione seguiva “precedenti conclusioni” preparate dal suo ufficio che erano emerse da esami preliminari e che comprendevano qualsiasi nuovo presunto reato di competenza della Corte. Ai primi di marzo Khan aveva ricevuto segnalazioni sulla situazione in Ucraina da 39 Stati parte della Corte (tra cui l’Italia), un numero sufficiente per avviare immediatamente un'indagine e iniziare la raccolta delle prove. Successivamente anche Giappone (primo stato asiatico) e la Macedonia del Nord hanno si sono uniti nel “deferire” la situazione in Ucraina.

Dopo l’imposizione di sanzioni contro i rappresentanti del regime russo e la decisione di fornire armi all’Ucraina, quanto deciso da 41 Stati parte del Trattato di Roma rappresenta uno sviluppo cruciale per tentare di intervenire contro l’attacco di Putin con le armi del diritto internazionale. Come ha affermato il Procuratore stesso, si tratta di un’azione collettiva “senza precedenti” che gli ha consentito di reagire immediatamente inviando “nella regione” un team investigativo per raccogliere prove per individuare le responsabilità di quanto in corso.

Le indagini richiedono il coinvolgimento di tutti coloro che possono avere informazioni rilevanti: testimoni, sopravvissuti e le comunità colpite, per raccogliere quanto più materiale possibile è stato lanciato un portale dedicato. 

In occasione della riunione del Consiglio giustizia e affari interni Il di Bruxelles il 4 marzo scorso, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha sottolineato che “anche i ministri della Giustizia hanno reagito prontamente in modo coordinato e coeso nei confronti della grave aggressione che si sta verificando in Ucraina [...] esprimendo determinazione a non lasciare nessuna zona di impunità e rafforzare la cooperazione fra di loro soprattutto nell’ambito di Eurojust”.

Queste buone intenzioni devono essere però adesso confermate con fatti concreti: oltre a rafforzare i finanziamenti nazinali diretti alla Corte e chiedere che altrettanto faccia la Commissione europea, l’Italia deve portare a termine l’adeguamento dei propri codici per il pieno rispetto del Trattato di Roma e modificare il proprio ordinamento affinché, come avviene altrove in Europa, si possa invocare la giurisdizione universale in caso di crimini come quelli che si commettono in Ucraina in questi giorni.

La richiesta/proposta è stata fatta pubblicamente in questi giorni dal Professor Andrea de Guttry dell’Università di Pisa che ha lanciato un appello al governo che, in pochissimo tempo, è stato firmato da 100 docenti, studiose e studiosi di diritto internazionale di oltre 50 Atenei italiani. "Apprezziamo quanto fatto sino a ora dall’Italia sia per reagire alle decisioni russe sia per prestare aiuto ed assistenza all’Ucraina e al suo coraggioso popolo” si legge in una dichiarazione “abbiamo pensato di elaborare alcune misure che potrebbero essere adottate dal governo e di altre che potrebbero essere realizzate dal Parlamento”. Il documento articola proposte per “dare piena attuazione nell’ordinamento italiano alle fattispecie previste dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, inclusi i crimini contro l’umanità e il crimine di aggressione" e di "avviare una discussione sull’introduzione nell’ordinamento italiano della cosiddetta giurisdizione universale per i crimini internazionali sulla scia di quanto fatto da altri Paesi europei".

L’Italia, che spesso si definisce la culla del diritto - anche se la Corte europea sui diritti umani ha avuto spesso da eccepire - deve cogliere l’occasione di una guerra che non avremmo mai pensato di veder accadere nel Terzo Millennio, per fare quanto necessario perché l’impunità non continui a essere l’unico sbocco per i criminali di guerra.