di Ottorino Gurgo
Non vorremmo essere accusati di "provincialismo nazionalistico" se cerchiamo di individuare le conseguenze politiche che il mutato scenario internazionale venutosi a creare dopo l'invasione russa dell'Ucraina è destinato a provocare anche nel nostro paese.
È fuor di dubbio che improvvisamente e inopinatamente siamo tornati a quella "guerra fredda" che, al termine del secondo conflitto mondiale, aveva sancito la divisione in due blocchi non soltanto a livello internazionale, ma anche in Italia.
Questa divisione, che vedeva schierata da una parte la Democrazia cristiana e i suoi alleati e dall'altra il Fronte popolare egemonizzato dal Partito comunista si è praticamente protratta sino alla caduta del muro di Berlino.
Oggi, tuttavia, venuti meno i riferimenti ideologici, questa divisione non è più riproducibile.
Viviamo in quella che Zygmunt Bauman, il grande sociologo, ha definito "la società liquida" nella quale l'architettura politica si va rapidamente e continuamente modificando. Difficile, dunque, immaginare che si riproduca la stessa situazione del, passato.
È, tuttavia, indispensabile identificare punti di riferimento ai quali richiamarsi è che, per il nostro paese, questo punto di riferimento sia l'Europa unita è fuori discussione. È un'adesione, quella all'Unione europea che, con la nuova "guerra fredda", non è più possibile mettere in dubbio. Non c'è più spazio per anacronistiche tentazioni sovraniste e soprattutto per furbeschi tentativi di mantenere i piedi in due staffe.
Pensiamo, a questo riguardo, alla strategia fatta propria da Matteo Salvini che punta ad essere presente sia nel governo che all'opposizione, così da poter beneficiare dei vantaggi che entrambe le posizioni consentono di avere.
Sia chiaro: restiamo convinti che in una democrazia che voglia essere realmente tale, non vi sia spazio per quelle che, alla prova dei fatti, finiscono con il rivelarsi non delle alleanze ma delle inaccettabili accozzaglie di forze non omogenee. Ma, nella vita di una Nazione, ci sono momenti nei quali è indispensabile far fronte comune per affrontare situazioni particolari.
È certamente vero che, nell'immediato dopoguerra, quando si trattò di porre mano alla ricostruzione del paese, le forze politiche si divisero tra loro. Ma, sia pur sotterraneamente, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, come una moderna revisione storica sta rivelando, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti che ne erano i leader, continuarono a dialogare tra loro nell'interesse nazionale.
E, successivamente, nei cosiddetti anni di piombo, i partiti seppero agire in assoluta unità facendo prevalere gli interessi del paese su quelli di parte. Fu così che il terrorismo venne sconfitto proprio grazie a questa unità di intenti. Né si può dire che, avendo scelto quella strada, i partiti (ma allora i partiti esistevano realmente) dovettero rinunciare alla loro identità.
La nuova "guerra fredda" nella quale ci accingiamo a vivere o, forse, già viviamo, esige dunque che, almeno per quel che riguarda la politica estera e la politica della sicurezza, lo spirito di parte venga accantonato. Chi si sottrarrà a un simile dovere dovrà renderne conto al paese.