Palazzo Reale a Milano (Depositphotos)

DI MARCO FERRARI

Leonardo Sciascia se ne è andato da tempo, il suo miglior amico, Ferdinando Scianna, continua la sua incessante ricerca. Nativo di Racalmuto il primo, di Bagheria l'altro, entrambi hanno segnato il modo di vedere, osservare e scrutare la realtà italiana. Adesso a Scianna viene reso un grande omaggio al piano nobile di Palazzo Reale a Milano, sua città d'adozione, sino al 5 giugno.  

L'esposizione si arricchisce per l'occasione di due importanti sezioni inedite, una dedicata proprio a Leonardo Sciascia e l'altra, la "Bibliografia", che presenta una selezione dei libri di Scianna, dal primo, "Feste Religiose in Sicilia", divenuto raro e prezioso nel tempo, fino alle ultimissime pubblicazioni. "È il suo fotografare, quasi una rapida, fulminea organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il suo occhio si posa e il suo obiettivo si leva obbedisce proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantaneo magnetismo, al suo sentimento, alla sua volontà e – in definitiva – al suo stile".

Così scriveva Sciascia del modo di fotografare di Scianna, mettendo la sua opera al pari di quella dei grandi testimoni del Novecento, come Henry Cartier-Bresson, Robert Capa e Richard Avedon. E lui ricambiava in questo modo: "L'amicizia è come uno scambio delle chiavi delle rispettive cittadelle individuali, è l'acquisizione del reciproco diritto di utilizzare ciascuno dell'altro, gli occhi, la mente, il cuore". E ancora: "Scrittura e fotografia non si escludono. Io nasco fotografo e mi sento fotografo, però ho fatto il giornalista per venticinque anni, scrivendo anche. Mi ricordo che Sciascia, mettendomi in guardia, mi disse 'stai attento che te ne può venire una schizofrenia'. Ma io questa cosa l'ho sempre esorcizzata considerandomi un fotografo che scrive". Non a caso la presenza di testi di grandi scrittori all'interno dei suoi libri fotografici è una costante come la pubblicazione di riflessioni sulla fotografia e sui fotografi ("Etica e fotogiornalismo", "Obiettivo ambiguo" e "Il viaggio di Veronica").

Siciliano, classe 1943, Scianna è stato il primo fotografo italiano a far parte dal 1982 dell'agenzia fotografica internazionale Magnum Photos. Con oltre 200 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l'intera carriera del grande fotografo siciliano, dalle famose feste religiose siciliane del 1965, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento.
Ferdinando Scianna si è appassionato a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d'origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l'attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare - tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose alla moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Ma Scianna è famoso anche per i suoi reportage e le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali e soprattutto i ritratti dei grandi amici, maestri del mondo dell'arte e della cultura come Jorge Louis Borges. 

"Una grande mostra antologica come questa di Milano è per un fotografo come me un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei sessant'anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l'accompagna: Memoria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto" ha dichiarato Ferdinando Scianna che, a Palazzo Reale, funge in prima persona da cicerone fuori campo tra storie e aneddoti della sua carriera di fotografo e della sua vita. Un vero e proprio racconto parallelo, per conoscere da vicino il suo percorso artistico e umano, curato da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda.

"Come fotografo mi considero un reporter" sostiene lui. In una delle didascalie della mostra scrive: "Il mio mestiere è fare fotografie e le fotografie non possono rappresentare le metafore. Le fotografie mostrano, non dimostrano". E lui lo fa soprattutto nei reportage dentro le guerre combattute in Libano, a Beirut, o nell'ex Jugoslavia, a Sarajevo. Un ruolo in cui spesso il fotoreporter è solo con la sua macchina fotografica davanti all'orrore. La solitudine del siciliano in trasferta l'ha trasferita sui soggetti, sulle persone che fotografa, nei ritratti. La mostra si apre con quello che è il capolavoro di Ferdinando Scianna: l'opera Quelli di Bagheria. Il libro, pubblicato la prima volta nel 2002, raccoglie molte delle fotografie scattate dal giovane fotografo, allora dilettante, forse ignaro di fermare nel tempo una parte importante della vita italiana del Novecento, un documento che va accostato a Un paese di Paul Strand e Cesare Zavattini. Per questo a Scianna piacciono i luoghi discosti, i paesi piccoli e abbandonati, come Kami, il villaggio posto nelle montagne della cordigliera delle Ande boliviane, a 3800 metri d'altitudine, dove ha ritratto il famoso giovanotto con il cappello in testa.