foto d'archivio

 

di David Lazzari

È vero le guerre sono state sempre dichiarate dai governi, ma il peso dei cittadini è sempre più cresciuto in tempi recenti, come la storia insegna.

Cosa pensano oggi i cittadini? Fanno fatica a confrontarsi col tema della guerra perché c’è un sovraccarico causato da due anni di pandemia e dai problemi connessi. Le persone sono stanche psicologicamente e scattano meccanismi di difesa che portano a negare i problemi o a rimuoverli dalla nostra quotidianità, dai nostri pensieri.

Peraltro sono anni che dobbiamo fare i conti con prospettive catastrofiche come quelle che riguardano il possibile collasso ecologico della terra, senza che la politica sia stata in grado di agire con la necessaria forza. Aggiungiamo la tendenza al catastrofismo e sensazionalismo dei media, molto accentuato in questi due anni, che produce un certo effetto di assuefazione e di distorsione del rapporto tra pericoli oggettivi e sensazioni di paura.  

Scenari che in buona parte spiegano questo distacco apparente dal tema guerra, quasi una specie di rassegnazione.

Una situazione favorita dal mondo virtuale, web, social, nel quale siamo immersi, e che crea una sorta di effetto sdoppiamento: le cose sembrano accadere su un diverso piano di realtà.

Ma ciò che ascoltiamo noi come professionisti della psiche o ciò che dicono i cittadini nei sondaggi è ben altro. Le opinioni, i timori e le angosce che emergono da questa superficie raccontano una storia del tutto diversa. Sempre più spesso ascoltiamo gli echi e gli effetti di queste ansie e angosce nascoste che sovente le persone cercano di negare persino a se stesse.

Un sondaggio dell’Istituto Piepoli ci dice che due italiani su tre pensano che questa guerra, anche se non si estenderà, condizionerà in peggio le loro vite future e un italiano su tre teme in concreto una terza guerra mondiale. Dire “terza guerra mondiale” non vuol dire aggiungere un numero alla seconda, vuol dire sostanzialmente apocalisse nucleare. È evidente che non ci può essere né trascuratezza né rassegnazione, soprattutto pensando ai nostri figli, al futuro dell’umanità.

Il tema dei conflitti e le dinamiche che portano alle guerre sono stati studiati: si parte da un estremismo delle analisi, basato su narrazioni a senso unico dove la verità è totalmente e unicamente da una parte, che rientra nella cd “guerra psicologica” ma che finisce per condizionare le popolazioni e i governi stessi che la promuovono e che alimenta una crescita a spirale dello scontro.

Attenzione a non farci trascinare dove non si vorrebbe e non si dovrebbe arrivare: il contrario della guerra non è la debolezza ma la forza della ragione.

La Psicologia ci insegna che esistono conflitti inevitabili, a volte anche sani, ma che vanno affrontati e gestiti con intelligenza e consapevolezza. Alle persone dobbiamo dire, anche stavolta, di non aver paura né vergogna delle loro paure, che non serve precipitare nell’angoscia o fuggire nell’irrazionale ma serve sostenere le ragioni del dialogo e della pace. Anche nella nostra vita, nella vita di tutti i giorni. Sperando che i governi sappiano ascoltare la voce dei cittadini e gestire la volontà popolare.