di CLAUDIO PAUDICE

Non c'è altra via d'uscita: l'unica rotta per portare 22 milioni di tonnellate di grano fuori dall'Ucraina passa dai porti del sud. O meglio, passa da Vladimir Putin che ora sta pensando seriamente di utilizzare lo stesso schema già adottato per le sue forniture di gas all'Europa: far pagare anche le derrate alimentari e i fertilizzanti in rubli. Al momento sono circa 40 milioni le tonnellate di grano bloccate in territorio ucraino, la metà delle quali destinata alle esportazioni. Da sempre, la gran parte delle derrate utilizza la via marittima per raggiungere i mercati di destinazione ma dopo l'inizio del conflitto i porti di Kiev sono stati bloccati dall'aggressore. Mariupol e Berdyansk sul mare d'Azov sono in mano ai russi, come pure Kherson sul mar Nero, mentre Mykolaiv è sotto assedio e Odessa è circondata da una cintura di mine. D'altronde la storia insegna che chi controlla i porti controlla il commercio globale, basti pensare alle Compagnie delle Indie, all'età vittoriana o, venendo a tempi più recenti, alla Nuova Via della Seta che ha permesso alla Cina di entrare nella gestione di terminal portuali in tutte le aree più strategiche del mondo, Europa inclusa. L'ostinazione militare di Putin nel sud est ucraino, piuttosto che sulla capitale Kiev, nasce probabilmente da qui, e da qui ne deriva il ricatto ormai nemmeno tanto velato di sbloccare il grano ucraino a condizione che l'Occidente revochi le sue sanzioni economiche. Prima della guerra, l'Ucraina arrivava ad esportare fino a 150 milioni di tonnellate di merci, cento delle quali cereali e altre materie prime agricole, e il 90% è sempre passato via mare. Ora, con i porti bloccati, c'è chi in Europa sta lavorando a una rotta alternativa: verso ovest, su ferro attraverso i treni merci.

Le speranze sono state riposte perciò nell'operatore ferroviario ucraino. Come al solito. Perché dall'invasione militare tutti gli occhi si sono rivolti verso Ukrzaliznycja, l'azienda controllata interamente dal governo di Kiev (e la più grande del Paese con più di 225mila dipendenti) che gestisce i trasporti sulla terza rete più grande d'Europa dopo quella di Francia e Germania, lunga più di 22mila chilometri. Da fine febbraio, grazie ai viaggi in treno, più di tre milioni di civili ucraini sono riusciti a lasciare il Paese sotto le bombe russe. Anche per questo la rete in ferro non è stata risparmiata dalle bombe russe: secondo le stime della Kyiv School of Economics, al 25 maggio tra stazioni, carrozze, locomotive e materiale rotabile più di seimila chilometri di ferrovia hanno subito danni, oltre a circa 40 ponti ferroviari, per un danno complessivo di oltre tre miliardi e mezzo di dollari. Pochi giorni fa il vicecapo dell'ufficio del presidente Zelensky ha spento le speranze della Commissione Europea che puntava a implementare i viaggi su rotaia per aggirare il blocco dei porti e far arrivare la merce ai porti di Costanza, in Romania, Danzica, in Polonia, o nei Paesi baltici. "La capacità delle ferrovie verso ovest rappresenta solo un decimo del totale del nostro export, stiamo cercando di raddoppiarla o anche di triplicarla, ma ci possono volere anche sei mesi per farlo. Vuol dire che fino a 70 milioni di tonnellate di raccolto non possono essere portate fuori dal Paese", ha detto Rostyslav Shurma. E poi ha fatto un elenco dei problemi di natura logistica. Primo fra tutti, il diverso scartamento - la distanza tra i binari - tra la rete europea e quella ucraina: in Europa è di 1435 millimetri, quella degli ex Paesi sovietici è di 1520 millimetri. Vuol dire che i treni, una volta arrivati al confine occidentale dell'Ucraina, devono fermarsi: o si trasborda la merce sulle carrozze europee, oppure si trasferiscono direttamente le carrozze ucraine e tutto quello che trasportano sui carrelli europei. Entrambe le soluzioni presentano oggettive difficoltà logistiche, con conseguenti aumenti dei tempi di trasporto.

I problemi di natura tecnica non finiscono qui. Di recente un top manager della società ferroviaria di Kiev, Valeriy Tkachev, ha spiegato che ad oggi l'Ucraina riesce a muovere su ferro circa duemila locomotive, che consentono il trasporto ipotetico di poco meno di quattro milioni di tonnellate al mese verso il confine occidentale (130mila tonnellate al giorno). Teoricamente si potrebbe arrivare a utilizzare fino a 3400 motrici (per 220mila tonnellate al giorno) ma la frontiera con l'Europa non dispone di sufficienti terminal per il trasbordo, necessario a causa del diverso scartamento tra i binari. L'Ucraina ha circa 13 punti di trasferimento delle merci, solo quattro o cinque però sono abbastanza sviluppati a livello logistico per consentire il passaggio di grandi volumi: Izov-Grubeshiv (al confine con la Polonia), Vadul Siret-Dornesti e Dyakovo-Halmeu (confine con la Romania) e Mohyliv-Podilskyi (confine con la Moldova). Non è difficile intuire come già oggi siano congestionati. Si stima che circa 35mila vagoni siano carichi e in attesa di oltrepassare il confine.

Dall'altro lato della frontiera, tuttavia, la situazione non è tanto migliore: il grosso del grano è sempre transitato via mare, motivo per cui al momento la rete europea non dispone di un numero sufficiente di carrozze per servire l'improvviso afflusso di grano. "Non puoi costruire cinquemila carrozze in un mese. La capacità di un impianto è di 5200 carrozze, servono due anni per costruirle, questo è il vero problema", ha spiegato sempre il vicecapo di Zelensky Shourma. Stesso discorso fatto da Tkachev, riportato da Interfax: "Da parte nostra, possiamo trasportare un volume di carico molto maggiore ma ci sono problemi o con la mancanza di capacità di trasbordo, o di disponibilità di vagoni europei", ha detto Tkachev. "L'infrastruttura europea non è stata progettata per volumi così grandi di trasporto merci su rotaia" su questo lato della frontiera.
Già a fine marzo la Russia aveva fatto balenare l'ipotesi di estendere lo schema di pagamenti in rubli, come per il gas, anche per le altre sue esportazioni. Lo speaker della Duma propose di farlo per tutto, e quindi per fertilizzanti, grano, petrolio, carbone, metalli, legname. Il portavoce di Putin Peskov disse che sulla richiesta arrivata dal Parlamento "c'è bisogno di lavorare". Lo stesso Putin ha già affermato che il commercio con l'estero dovrà gradualmente accelerare nella transizione verso il rublo e le valute dei Paesi alleati, visto che in seguito alle sanzioni e al blocco delle riserve valutarie operato dall'Occidente, dollaro ed euro non sono per la Russia monete affidabili. E anche il ministro dell'Agricoltura russo Dmitry Patrushev ha affermato di voler discutere l'ipotesi con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, tagliando fuori dalle transazioni le banche occidentali. Ora l'ipotesi ha ripreso forza dopo che il capo del Comitato costituzionale del Consiglio federale (la camera alta del parlamento russo) Andrei Klishas, come riporta Ria Novosti, si è espresso su telegram a favore del pagamento in rubli per gas e fertilizzanti. Vale la pena ricordare che Mosca produce ogni anno più di 50 milioni di tonnellate all'anno di fertilizzanti, il 13% del mercato mondiale, e ne ha da tempo vietato l'export.
Attualmente sia in Tunisia, dove il 50% dei cereali arriva proprio dalla Ucraina, sia in Egitto è già in atto il razionamento del pane. In Libano i prezzi del pane sono aumentati del 70%. Secondo Tkachev, a marzo Ukrzaliznytsia ha trasportato solo 416mila tonnellate di prodotti agricoli e 638mila tonnellate ad aprile. L'obiettivo di Ukrzaliznytsia è raggiungere 1-1,5 milioni di tonnellate al mese di esportazione di prodotti cerealicoli. Numeri che messi a confronto con 22 milioni di tonnellate di grano attualmente ostaggio di Putin fanno capire perché le speranze europee di aggirare su rotaia il blocco navale siano velleitarie. E perché, consapevole di avere la parte del manico tanto quanto ce l'ha sulle forniture di gas, ora il leader del Cremlino può dettare le sue condizioni all'Europa desiderosa di scongiurare una crisi alimentare e, soprattutto, una nuova crisi migratoria che la travolgerebbe in pieno.