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di Tiziana Pasetti

Il 25 settembre si potrebbe andare tutti allo zoo comunale e non al seggio elettorale. Le specie in mostra nei giardini, pur ingabbiate, conservano ognuna le proprie caratteristiche. Difficilmente ci imbatteremo in un leone con in testa un corno al posto della criniera o in una scimmia che striscia o in una giraffa che vola. Per dirla in modo forse più chiaro: è improbabile che leone, rinoceronte, scimmia, pitone, giraffa e aquila assumano tutti la stessa forma. Al seggio elettorale, purtroppo, questa stessa varietà e fedeltà alla propria natura non sarà garantita. Anzi. Qualunque scelta produrrà il medesimo, informe, risultato.

Le appartenenze sociali, in questa parte a sud di un occidente europeo dalla trama disomogenea e sgranata, non hanno più uno scheletro, una struttura ossea contenitiva, protettiva e nello stesso tempo garante di mobilità. Si vota implosi, accasciati e informi; si vota non per confermare e abbracciare, non per aderire ma per confermare una non meglio precisata avversione/repulsione. Non meglio precisata perché non è di disaffezione che parliamo: questa presuppone un movimento uguale e contrario alla passione, alla fiducia, all'interesse. Oggi, ed è un presente che comincia ad avere un peso specifico "storico", parliamo di estraneità, di assenza di chiarezza sociopolitica non solo nelle proposte, confuse e caciarone, di chi si butta nell'arena ma soprattutto in chi dovrebbe cercare in queste delle risposte a delle domande, a dei bisogni. Provate a domandare a qualcuno cosa si aspetta da un governo, in quale modo questo dovrebbe rappresentarlo. Prima vi lancerà fuochi e fiamme dagli occhi di brace e poi comincerà a farfugliare starnazzando a sirene spiegate: "se so' magnati tutto, è er sistema che nun funziona, e noi schiumamo; a ndo stanno i sordi? Eh? C'hanno 'a villa, er macchinone, e poi se 'a pijano cor piccolo, cor povero barista che nun fa lo scontrino perché ce se vonno pijà tutto, ce vonno controlla', no, cioè, te dico fermete, ma volemo parla' delle tasse? Le tasse vonno che pagamo! Sti ladri, loro magneno e noi dovemo da paga'. Ladri!".

Provate a intervenire, a domandare se possono spiegarvi la situazione in cui versa l'Italia in relazione non alla ma alle crisi, se sono a conoscenza del fatto che andremo a votare qualcuno che dovrà avere le capacità per rispondere in modo effettivo e performante a problemi reali che riguardano sì il nostro Paese ma sono intrecciati a quelli "mondiali" e a questi non si può reagire buttandola in canzonella come siamo abituati a fare. Niente tarallucci e vino, questa volta. L'estate che ci stiamo lasciando alle spalle non ha avuto nessun vero tormentone musicale, l'unico ritornello che rimbalzava – e resiste nonostante oggi sia un dannunziano primo di settembre e sarebbe il caso di "andare", "migrare" – dalle Alpi all'Etna, dal Po all'Aterno, da Torvajanica a Giardini Naxos, dall'ombrellone di Deborah a quello di Thomas era solo uno: "datece i bonus". Questa è la follia che stiamo vivendo e che pagheremo: non abbiamo i piedi per terra, non abbiamo capito che per tentare di risolvere il DI (Disastro Italia) ci vuole una cura pesantissima, dagli effetti collaterali deturpanti. Non siamo un Paese maturo, non lo siamo noi che battiamo i piedi per terra, non lo sono quanti si mascherano da politici – travestimento che sta piacendo a molti – che, pur di restare seduti (non a Palazzo ma sugli sgabelli dei salottini televisivi), continuano a dire sì.

La funzione di una democrazia rappresentativa come la nostra dovrebbe essere quella di farsi portavoce di idee condivise con gli elettori. Idee. Idee faticose, idee educative. Evitiamo di indorare la pillola: non siamo capaci, non siamo pronti. Non siamo adulti.

La battaglia tattica che guida questa campagna elettorale e che la fa piroettare in equilibrio funambolico tra vecchi media e nuovi lascerà sul campo non cadaveri ma – indifferentemente tra vittoriosi e vinti – zombie.