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di Alberto Bortolotti

 

 

A due settimane dal 25 settembre, sembra ormai chiaro che, anche in questa tornata elettorale, peserà il voto delle province italiane. Espulse dalla globalizzazione dell’economia ed emarginate dalla politica, i territori fragili del Paese si apprestano ad esprimere un voto di dissenso all’azione del governo Draghi.

I benefici del PNRR sono ancora difficili da percepire per quelle aree rurali che hanno alle spalle profondi tagli sulla spesa in conto di capitale dello Stato, inoltre il governo ha complessivamente vigilato poco sul coordinamento tra gli enti locali che implementerà progetti e strategie di sviluppo territoriale e questo avrà conseguenze negative sulle indicazioni di voto che gli amministratori locali consiglieranno ai propri concittadini.

Assenza di welfare, distanza dai centri del potere economico e politico e carenza di politiche forti per l’impiego sono i principali fattori che polarizzeranno il voto dei territori fragili verso la coalizione di centrodestra e, in parte, sul Movimento 5 Stelle al Sud Italia.

Le simulazioni di voto di YouTrend – Cattaneo Zanetto & Co sui collegi uninominali catturano il divario città-provincia, che riflette proprio questa geografia dell’elettorato. Il centrosinistra, esprimendo un voto prettamente urbano o regionalmente consolidato, polarizza consenso in Toscana, parti di Emilia-Romagna e Marche e si contende i collegi delle grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Trieste eccetera). Al contrario, il centrodestra convoglia il proprio elettorato nella media Pianura Padana, nelle aree alpine e appenniniche, in Sicilia e in alcune porzioni di Puglia e Calabria.

Esattamente come avvenuto mesi fa al primo turno delle elezioni francesi, con il netto aumento dei voti di Le Pen, Zemmour e Dupont Aignan nelle province colpite da profondi fenomeni di deindustrializzazione e “trappola dello sviluppo intermedio”, il voto rurale sembra premiare i partiti conservatori. In questo senso, la mancata alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle ha arrestato quel tentativo di compattare l’agenda sociale progressista che poteva invece raccogliere la maggioranza dell’elettorato di ampie frange del Meridione.

Infatti, nonostante Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia propongano una ricetta che apparentemente guarda allo status quo del Paese (pensioni più alte, flat tax, controllo migratorio, abolizione del Reddito di Cittadinanza), gli stessi partiti si fanno promotori di forti radicamenti territoriali identitari, di una cultura locale che “sulla carta” sembra rilanciare le aree rurali e montane dimenticate dalla globalizzazione ma nei fatti alimenta solo il malessere di quei luoghi. Il voto francese, così come quello della Brexit prima, rimarcano la necessità di dare prospettive di lungo periodo ai territori fragili del Paese. In assenza di questo, le province italiane si arroccano in un conservatorismo che non aiuterà ad arginare la disaffezione verso aree interne, borghi e periferie.

In particolare, i giovani delle aree interne tendono a subire proprio questa mancanza di prospettiva, scegliendo di abbandonare il territorio e generando un ulteriore divario intergenerazionale. Per questa ragione credo che una delle maggiori sfide per la coalizione del Partito Democratico debba essere quella di investire le proprie energie nelle aree rurali e montane italiane, ma per farlo è necessario avere una posizione chiara sul rafforzamento della macchina dello Stato, l’unico attore in grado di mettere davvero in campo politiche pubbliche di lungo periodo per un rilancio strutturale dei territori fragili.

Sebbene lo scenario sia ancora mutevole, un ribilanciamento dei rapporti tra il centrodestra e la coalizione guidata dal Partito Democratico potrebbe avvenire soltanto se quest’ultima riuscisse a drenare una significativa parte del consenso nelle aree rurali e montane da un alto, e a polarizzare la maggioranza del voto moderato sulle grandi aree urbane dall’altro, in altre parole, riuscendo a rovesciare l’assetto di quei collegi uninominali che rappresenteranno 1/3 del Parlamento.

Infine, nonostante in termini generali la dinamica del voto tenda a far convergere il consenso elettorale sui partiti maggiori, facendo quindi diminuire la fiducia verso i partiti di centro parallelamente all’avvicinarsi del 25 settembre, il voto rurale risulta oggi sempre più indirizzato da proposte politiche radicali e per essere raccolto necessita di una narrazione nella quale il “buongoverno” non basta.