di Franco Esposito

Sentite come il garante dei detenuti garantiva i carcerati rinchiusi all'interno del carcere di Poggioreale. Titolare di un ruolo istituzionale dal 2019, lui con un passato da narcotrafficante frequentatore delle patrie galere a ventidue anni, forniva droga e cellulari alle persone che avrebbe dovuto assistere e difendere nelle sedi deputate. Nelle intercettazioni telefoniche Pietro Ioia, sessantatre anni, si faceva chiamare "l'avvocato". 

Garante dei detenuti di Napoli l'aveva nominato l'allora sindaco De Magistris, ora pentito: "Ha tradito la fiducia mia e di tutti". Il neo sindaco Manfredi ha rimosso dall'incarico Pietro Ioia. "Il perno principale dell'attività illecita", viene ora bollato con parole forti dai pubblici ministeri. I pagamenti da parte dei detenuti avvenivano con carte Postepay attraverso le mogli dei capi dell'organizzazione. Un'arma a doppio taglio decisiva ai fini della ricostruzione della rete allestita da Ioia d'intesa con tre detenuti che gestivano il losco traffico nelle celle. 

Il materiale veniva trasferito durante i colloqui. Il garante, per il suo ruolo, era autorizzato ai colloqui all'interno degli istituti penitenziari napoletani. Chiaramente ne avrebbe approfittato. Intercettazioni telefoniche e ambientalo, con l'uso anche dei trojan, e video sistemati nella sala colloqui del carcere di Poggioreale hanno permesso di incastrare il garante che garantiva i detenuti di Napoli a modo suo. L'inchiesta è stata avviata dai carabinieri di Castello di Cisterna, nel giugno del 2021. Ioia avrebbe introdotto in carcere cellulari e droga. 

Quei tre detenuti alimentavano il traffico: vendevano telefonini hashish e cocaina. In un anno e mezzo di attività illecita avrebbero realizzato guadagni per decine di migliaia di euro. Nata per casa, l'inchiesta ha portato in carcere sei persone e due agli arresti domiciliari. Dodici gli indagati. E il garante sporco con una difficile storia personale tutta da raccontare. 

Nato nel quartiere Sanità e cresciuto a Forcella, dove ha mosso i primi passi come spacciatore, in attesa di approdare al mercato internazionale degli stupefacenti. Nel 2017 ha raccontato in un libro "La cella zero. Morte e rinascita di un uomo in gabbia", la sua vita piena di travagli e le presunte vessazioni subite in carcere. Edito da Marotta e Cafiero, il libro poi è diventato spettacolo teatrale. Ioia è stato in prima fila nel denunciare i pestaggi ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Poche ore prima dell'arresto, ha preso parte all'Assemblea dei Garanti dei detenuti pressso il Consiglio regionale della Campania. Il sindaco Luigi De Magistris gli diede piena fiducia affidandogli un incarico molto delicato. Persona sempre al limite, in sospeso tra l'incudine e il martello, Ioia ha tradito anche la fiducia dell'ex primo cittadino di Napoli. 

Nel 2021 i carabinieri mettono sotto intercettazione il telefonino di Antonio Felli, detenuto possimo alla condanna a venti anni per l'omicidio del ventisettenne Gianluca Coppola, avvenuto a Casoria. Un giro insolito di voci caratterizza l'uso di quel cellulare. Viene usato da Felli, ma anche da altri detenuti. I colloqui hanno spesso come oggetto i telefonini portati in carcere. 

É l'inizio dell'inchiesta della Procura di Napoli. I carabinieri delegati dalla magistratura. Viene fuori in maniera chiara la losca attività di Pietro Ioia, complice di un detenuto, Massimiliano Murolo di quarantatre anni, ai domiciliari in una comunità di recupero in provincia di Taranto, rapinatore seriale spesso in trasferta anche al centro-nord. Dalle inercettazioni appare insieme con la moglie Sonia Guillari, intermediario del traffico illecito che  consente l'entrata di telefonini e droga a Poggioreale. 

"Abbiamo raccolto prove per due trasferimenti di denaro a Ioia", assicurano gli investigatori. "Soldi in cambio di cinque telefonini". Ioia il vettore, due detenuti gli acquirenti: Nicola Donzelli e Antonio De Maria, in carcere per spaccio e traffico di droga. Farà presto ad aggregarsi un terzo detenuto, Vincenzo Castello, detto Mamozio, pusher ritenuto affiliato al clan Marfella-Mele operativo nel quartiere Pianura. 

Nel giro entrano, con Pietro Ioia, Massimiliano Murolo, Sonia Guillari, Nicola Donzelli, Antonio De Maria, destinatari dell'ordinanza firmata dal gip Valentina Giovanniello. Ai domiciliari, Maria Cardamone Maresca, moglie di Donzelli, e Sharon Tasseri, compagna di De Maria. Quattro richieste cautelari sono state rigettate dal gip. 

Associazione a delinquere e corruzione le principali ipotesi di accusa. Ioia è centrale in ogni caso, nella sua qualità di garante dei detenuti. Volendo scherzarci su per un attimo, è lecito dire che li ha assistiti molto bene, con droga e telefonini, cosa volete più dalla vostra vita di detenuti? Ioia si sarebbe prestato a portare in carcere i telefonini e la droga che veniva consegnata da Sonia Guillari. La moglie di Donzelli e Massimiliano Murolo avrebbero funzionato "da raccordo tra i detenuti e i loro parenti e il garante, riscuotendo le somme necessarie e prendendo in consegna la merce da introdurre in carcere. Nicola Donzelli e Antonio De Maria gli spacciatori; gli acquirenti i loro compagni di detenzione. 

Detenuti e garante avevano fissato un tariffario. Un telefonino veniva venduto a 1200 euro. A 50 euro una quantità media di droga. Maia Cardamone Maresca si interessava della ripartizione del denaro, a metà con Sharon Tasseri. Ricostruito dagli inquirenti, il giro avrebbe coinvolto quindici detenuti identificati e altri ancora senza nome. Gli importi accreditati sulle postepay andavano da un minimo di 25 euro a un massimo di 1500. I coniugi Donzelli hanno incassato 56mila euro, da gennaio ad aprile 2022. Escluso il contante non ricostruibile, fanno 3.500 euro al mese. 

Ioia indicato dagli inquirenti come il perno di tutto. Avrebbe ricevuto 600 euro per la consegna di due telefonini e 500 per altri tre. E avrebbe diviso con Donzelli e De Maria 10mila euro per la vendita di droga. 

Capito, cosa ha combinato il garante dei detenuti con la sua ingegnosa lercia maniera di garantire i detenuti di Napoli? Vale l'andagio adagio napoletano: chi nasce quadro non può morire tondo, e viceversa.