di Angela Mauro

"L'Italia non vuole essere lasciata sola e noi non la lasceremo sola. Dall'inizio della crisi, per più di 5 anni, abbiamo sostenuto Roma. Sfortunatamente alcuni stati membri pensano che quello che succede sulle vostre coste non sia un problema loro. Il che è sbagliato perché il confine esterno italiano è il confine esterno comune dell'Unione". Questo non è l'intervento di un commissario europeo sull'attuale caso delle navi delle ong bloccate nel Mediterraneo dal governo Meloni. La frase è vecchia di tre anni, pronunciata dall'allora commissario europeo Dimitris Avramopoulos quando bloccata in rada c'era la Sea Watch, c'era il governo M5s-Lega con Matteo Salvini ministro dell'Interno. Ciò che colpisce dell'attuale crisi dei migranti, che ha aperto uno scontro diplomatico tra Roma e Berlino soprattutto, è la totale assenza della Commissione europea. Il caso è aperto da oltre due settimane e ancora nessun commissario europeo ha preso posizione pubblica sulla vicenda.

All'epoca Avramopoulos non ottenne granché. In un'intervista a Repubblica, l'ex commissario ai migranti punzecchiò Salvini: "Se dovesse avere proposte concrete e suggerimenti, le accoglierei con piacere. Lo invito a venire a Bruxelles alle riunioni del Consiglio dei ministri europei. La mia porta resterà sempre aperta. Certamente per trovare un accordo tutti devono essere pronti al compromesso". Ma l'Italia deve lasciare sbarcare i migranti della Sea Watch: "Dovranno essere registrati dalle autorità italiane. Le regole Ue sull'asilo sono chiare in termini di procedure". Alla fine la Sea Watch sbarcò, con un accordo di redistribuzione con altri paesi europei. "Voglio ringraziare Germania, Francia, Lussemburgo, Portogallo e Finlandia per aver dimostrato solidarietà", diceva Avramopoulos.

Erano altri tempi. Oggi ufficialmente solo la Francia si è offerta di accogliere una parte dei migranti della navi delle ong, cui è stato concesso di sbarcare soltanto le persone fragili, in maggioranza donne e bambini. Lo scontro è sempre lo stesso. È cambiato il contesto. La Commissione von der Leyen è sempre più debole nei confronti degli Stati membri, divisi su questioni centrali, dall'immigrazione alla crisi energetica. Per questo nessuno della squadra di Palazzo Berlaymont si espone. Agli atti, per ora, resta solo una dichiarazione di una portavoce della Commissione europea di giovedì scorso, prima che Giorgia Meloni arrivasse a Bruxelles per i suoi primi incontri con i vertici delle istituzioni europee. "Stiamo seguendo la situazione da vicino e, dalle informazioni che abbiamo, ci sono tre navi con circa mille persone a bordo e che hanno chiesto uno sbarco sicuro. La Commissione non è coinvolta nelle operazioni di salvataggio in mare, né nella definizione del luogo di sbarco. Tuttavia, ricordiamo che salvare vite in mare è un dovere morale e un obbligo legale di diritto internazionale degli Stati membri indipendentemente dalle circostanze", sono le parole di Anitta Hipper, portavoce della Commissione, rispondendo a una domanda nel briefing quotidiano con la stampa. Stop.

Nulla in confronto al 2019, quando Salvini chiudeva i porti, l'Ue sembrava più ferrata a contrastare la propaganda sovranista o almeno ci provava. All'epoca il presidente della Commissione europea era Jean Claude Juncker che almeno tentò di trattare il dossier immigrazione, presentando un piano per la redistribuzione dei migranti in arrivo nel 2015, in conseguenza degli arrivi massicci che convinsero anche Angela Merkel ad accogliere un milione di profughi. Gli Stati poi hanno affossato il piano, è stato un fallimento, ma fu tentato. Adesso, complice la guerra, la crisi energetica, la pila delle emergenze che è aumentata sulle scrivanie dei responsabili europei e degli Stati nazionali, l'immigrazione è solo terreno di propaganda, senza decisioni concrete, senza piani di lavoro, senza più propositi di riforma del regolamento di Dublino che pure, fino a qualche anno fa, c'erano. La stessa Ursula von der Leyen aveva promesso di metterci mano quando è stato nominata presidente della Commissione europea.

Nel 2019, anche il commissario all'Economia Paolo Gentiloni si scagliò contro l'allora governo Lega-M5s sulla vicenda dei 'porti chiusi'. "Caro Direttore - scriveva in una lettera a Repubblica - io accuso Salvini. Lo accuso perchè sta cancellando l'immagine di un'Italia che sull'immigrazione aveva 'salvato l'onore dell'Europa'. Lo accuso per la disinvoltura con cui adopera alcune parole. 'Tanti nemici tanto onore' (frase che Salvini usò per controbattere alle critiche, ndr.) non è soltanto una sbruffonata autolesionista come si è visto anche in questi giorni dal nostro isolamento sui tavoli di Bruxelles, è il recupero sfrontato di un linguaggio messo al bando dalla storia".

A tre anni di distanza, Bruxelles non batte colpo su una questione che ormai non viene ritenuta prioritaria. Tra l'altro, a quanto si apprende da fonti europee, nemmeno Meloni ha presentato il dossier immigrazione come centrale nella sua agenda quando ha parlato con von der Leyen giovedì scorso. Nell'impossibilità di prendere decisioni, l'Ue si astiene dimostrando che il ruolo della Commissione europea quale esecutivo con potere di proposta legislativa non è più tale. Guidano gli Stati membri e le loro divisioni. Bruxelles abdica e latita.