di Adalgisa Marrocco

Viviamo sempre più a lungo. Se da un lato questo rappresenta una conquista, poiché testimonia il crescente miglioramento delle nostre condizioni di vita e i progressi della medicina, dall'altro porta con sé un aspetto critico: aumentano le patologie legate all'invecchiamento neuronale. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie neurodegenerative sono ormai la settima causa di morte nel mondo. L'Alzheimer ha il peso maggiore: rappresenta il 60% di tutte le forme di demenza, colpisce 40 milioni di persone nel mondo e fa registrare 150mila nuovi casi l'anno solo in Italia.

Si tratta di "un'epidemia" dinanzi alla quale la scienza cerca di affilare le armi. Alcuni miglioramenti nella gestione delle patologie sono stati ottenuti, ma l'obiettivo dei ricercatori è trovare una cura o, almeno, rallentare in modo significativo il declino cognitivo che ne deriva. Il colosso farmaceutico svizzero Roche, proprio in questi giorni, ha reso noto il cattivo esito della sperimentazione su gantenerumab, un potenziale farmaco per contrastare l'Alzheimer. Secondo quanto riferito, i due studi effettuati hanno mostrato che il farmaco non ha rallentato sufficientemente il declino clinico nelle persone affette da forme precoci della malattia.

Ma a che punto sono le terapie e cosa ci si aspetta per il futuro? "I farmaci che al momento vengono utilizzati nei pazienti con Alzheimer (inibitori dei neurotrasmettitori acetilcolinesterasi e memantina) sono solo sintomatici, cioè possono migliorare i sintomi della malattia, ma non interromperne o rallentarne il decorso. Altre molecole agiscono sui sintomi comportamentali (agitazione; forme di psicosi; calo dell'umore) che possono presentarsi in questa tipologia di pazienti", spiega all'Huffpost Fabrizio Piras, ricercatore del laboratorio di neuropsichiatria della Fondazione Santa Lucia IRCCS. "Tuttavia – prosegue il ricercatore – il morbo ha delle precise caratteristiche neurobiologiche, come l'accumulo nel cervello di due proteine anomale, beta-amiloide e tau, che giocano un ruolo importante nello sviluppo di danni neuronali. Ecco perché uno dei principali obiettivi della ricerca è arrivare alla creazione di farmaci, detti disease-modifying, che siano capaci di intercettare e neutralizzare la proteina anomala che tende ad accumularsi, modificando così la storia della patologia".

È poi di fondamentale importanza, proprio come per i tumori, la diagnosi precoce. "Bisogna prestare attenzione ai campanelli d'allarme – dice il dottor Piras –. L'Alzheimer solitamente esordisce con perdita della memoria e difficoltà di linguaggio, ma esistono altre forme di demenza che hanno un esordio differente. Alcune possono cominciare con sintomi comportamentali (rabbia o scarso controllo di impulsi), altre con difficoltà percettive (visuali e costruttive)". Anche su questo fronte il lavoro dei ricercatori è incessante: nuove speranze per l'individuazione precoce dell'Alzheimer arrivano da un gruppo di scienziati delle Università dell'Hokkaido e di Toppan, che hanno sviluppato un metodo per rilevare l'accumulo beta-amiloide nel sangue. Fino ad ora il morbo è sempre stato diagnosticato mediante tomografia a emissione di positroni (Pet), mentre i ricercatori coordinati dal professor Kohei Yuyama hanno creato una tecnologia in grado di rilevare gli esosomi (vescicole secrete da diversi tipi di cellule, ndr) leganti la beta-amiloide nel sangue dei topi, che aumentano man mano che la proteina si accumula nel cervello. Il loro studio è stato pubblicato su Alzheimer's Research & Therapy e attualmente sono in corso sperimentazioni cliniche sugli esseri umani. La possibilità di diagnosticare e monitorare la malattia attraverso una simile metodica sarebbe cruciale per i pazienti a rischio, ma non ancora sintomatici.

Cruciale anche il ruolo della prevenzione. Il dottor Piras spiega che "le malattie neurodegenerative presentano alcuni fattori di rischio che non sono modificabili, come quelli legati all'età e alla predisposizione genetica, ma ci sono altri aspetti che possono essere modificati o tenuti sotto controllo": si va dall'ipercolesterolemia, al diabete, fino alle patologie cardiache e della coagulazione. "È importante anche mantenere uno stile di vita sano, facendo attività fisica, mangiando in modo adeguato e svolgendo attività cognitivamente stimolanti", conclude il ricercatore.