L'OSSERVATORIO ITALIANO

di Anonimo Napoletano

 

 

Il più grosso broker di droga d'Italia, e forse di tutta Europa, si è pentito: Raffaele Imperiale, alias “Lelluccio Ferrarelle”, è passato a collaborare con la giustizia. E con lui ha fato il salto anche il suo vice, Bruno Carbone, da poche settimane al centro di un intrigo internazionale per il suo arresto da parte di ribelli jihadisti in Siria e la sua “estradizione” a Roma con la mediazione della Turchia dopo una trattativa segreta che lo Stato italiano, però, smentisce. Un altro fedelissimo di Imperiale, Raffaele Mauriello, arrestato insieme al boss a Dubai ed estradato dagli Emirati Arabi in tempi insolitamente rapidi, ha rilasciato spontanee dichiarazioni autoaccusatorie ai pubblici ministeri della Direzione antimafia di Napoli, sia pure senza coinvolgere terze persone e perciò al momento non può considerarsi tecnicamente un collaboratore di giustizia.

Il triplice colpo di scena è avvenuto a inizio settimana davanti la decima sezione del tribunale del Riesame di Napoli, dove si discuteva il ricorso di 28 sospetti camorristi del clan Amato-Pagano arrestati la settimana precedente. È stata in questa occasione che la Direzione antimafia, per rafforzare il quadro accusatorio, ha depositato sei verbali: tre di Imperiale, due di Carbone e uno di Mauriello. Si è così appreso che il ras del narcotraffico internazionale Raffaele Imperiale sta parlando con gli inquirenti da ottobre scorso, mentre gli altri due lo hanno seguito a ruota poche settimane fa. Le conseguenze di un simile pentimento “eccellente” sono potenzialmente una bomba atomica per il clan Amato-Pagano, i cosiddetti “scissionisti” della faida di Scampia, ma anche per molti boss e gregari di altri clan della Campania, oltre che per gli insospettabili complici che hanno coperto i traffici di Imperiale e compagni, ma anche e soprattutto consentito il riciclaggio di centinaia di milioni di euro provento del colossale giro di droga messo in piedi nel corso di un ventennio. È altrettanto ovvio, però, che Imperiale e Carbone, e forse anche Mauriello, si aspettano dallo Stato una contropartita considerevole: la possibilità di scontare una pena esigua in condizioni di detenzione molto comode e di tornare presto a rifarsi una vita con una nuova identità e uno stipendio statale. Il rischio, in questi casi, è che i ras che hanno iniziato a collaborare contino in seguito di poter recuperare almeno una parte degli immensi tesori nascosti in luoghi sicuri, per concedersi una vecchiaia di lusso. Per questa ragione l'attenzione degli inquirenti, per poter giudicare l'attendibilità dei “pentiti”, è soprattutto concentrata sul ritrovamento del denaro accumulato e reinvestito dai boss. Ed è proprio su questo tema, oltre che sulla ricostruzione dell'organigramma e delle complicità dei traffici di droga dall'estero all'Italia e dall'Italia, in qualche caso, verso l'estero, che si sono concentrati da subito i primi verbali dei neo-collaboratori di giustizia.

Bruno Carbone

Imperiale e Carbone hanno ammesso di essere stati innanzitutto e per lunghissimo tempo i referenti del clan Amato-pagano per il rifornimento delle piazze di droga di Napoli Nord. Prima di essere arrestato, racconta Imperiale, «lasciai a Bruno Carbone una cassa di 18 milioni di euro per continuare a gestire i rapporti con gli Amato-Pagano». Era proprio Carbone, infatti, il tramite, l'anello di congiunzione, tra il boss Imperiale e il clan di Scampia. «Ogni mese gli versavo 80mila euro per le spese correnti necessarie a mantenere in vita i traffici con gli Amato-Pagano», racconta “Lelluccio Ferrarelle”. Soprannome che a Imperiale deriva da quando, giovanissimo, gestiva un semplice ingrosso di bibite nella sua Castellammare di Stabia, prima di intraprendere il grande salto in ben altri commerci. Traffici che lo hanno reso miliardario e portato a trascorrere molta parte della sua vita all'estero, prima tra Colombia e Olanda, dove acquistò due quadri di Van Gogh rubati in un museo di Amsterdam, che poi lo stesso Imperiale fece ritrovare alle autorità italiane in cambio non si sa di quale contropartita, poi tra Balcani ed Emirati Arabi, dove è stato infine scovato e arrestato il 4 agosto 2021.

Imperiale racconta anche che i suoi traffici con gli “scissionisti” di Scampia si interruppero quando entrò in conflitto con la ras in gonnella Rosaria Pagano, che pretendeva di avere le partite di droga a credito. «Le dissi che a me questo non stava bene e che avevo già una organizzazione mia, per cui se non mi avessero dato i soldi non se ne sarebbe fatto più niente». E aggiunge Imperiale: «In seguito ho riallacciato i rapporti tramite Marco Liguori e Fortunato Murolo, persone che mi hanno dato prova della loro serietà». Affermazioni che denotano il calibro di Raffaele Imperiale, in grado di trattare con i boss della camorra da pari a pari e non in condizione di subalternità.

Ma il gruppo che faceva capo a Imperiale trafficava anche con altri clan, in particolare con il boss del Parco Verde di Caivano Pasquale Fucito e con il clan Puccinelli del Rione Traiano. È Bruno Carbone a ricostruire altri particolari del sodalizio con Imperiale: «Lui era il capo, entrai in affari con lui tra il 2014 e il 2015: a Imperiale andava il 50% dei proventi, un altro 25% serviva per le spese e il restante 25% andava a me». Oltre a importare droga in Italia da mezzo mondo, Imperiale e Carbone la esportavano anche all'estero, in un caso persino in Australia. È ancora Carbone che parla: «Con Giovanni Fontana abbiamo fatto un lavoro in Australia da 600 pacchi, organizzato da Imperiale con un socio australiano di nome Mark e uno olandese di nome Hanas Zamouri, che è stato sequestrato in Siria assieme a me (qui Carbone fa riferimento al suo arresto da parte dei ribelli siriani affiliati ad Al Qaeda, negato dallo Stato italiano che afferma di averlo catturato a Dubai, ndr). Gli australiani poi ci dissero che il carico di droga era stato sequestrato, ma non abbiamo nessuna prova né alcuna notizia da fonti aperte».