di Carlo Lottieri

 

Una delle esigenze cruciali – e indifferibili – è quella di introdurre nel nostro ordine politico una maggiore responsabilizzazione di ogni attore (Comune o Regione) e una vera competizione istituzionale. Disegnata fin dalle sue origini sulla basen di modelli giacobini, l’Italia si trova con un sistema di finanza derivata che porta ogni amministrazione locale a spendere il più possibile, confidando che altri pagheranno. Una vera autonomia non comporterebbe soltanto una gestione amministrativa più in sintonia con le preferenze dei diversi territori, ma obbligherebbe le varie realtà a gestirsi in modo responsabile.

Oltre a ciò gioverebbe a tutti creare una sana competizione tra Comuni e tra Regioni, così da stimolare ogni soggetto a spendere e tassare meno (e al tempo stesso a offrire servizi di qualità). Intraprendere la strada del federalismo non sarebbe a favore di alcuni e a danno di altri, ma genererebbe vantaggi in ogni direzione.

Se questo è vero, non è detto che il dibattito sull’autonomia differenziata sia utile. Nonostante siano passati cinque da due referendum, in Veneto e Lombardia, che hanno espresso una netta adesione all’ipotesi di far crescere l’autogoverno in queste Regioni, è probabile che nei mesi a venire si perderà altro tempo su un binario morto, dato che il percorso delineato (dalla definizione dei “livelli essenziali di prestazione” fino all’approvazione di una legge che avrebbe bisogno del voto della maggioranza assoluta dei componenti) rende impossibile essere ottimisti. Per di più, nessuno immagina che il trasferimento delle competenze si accompagni con una riduzione della redistribuzione e una nuova autonomia fiscale e di bilancio.

Quanti auspicano che si valorizzi l’autogoverno locale devono allora guardare con scetticismo a quanto sta avvenendo. Si sta litigando intorno a un maquillage che con ogni probabilità non ci sarà mai. La posta in gioca è minima e lo schieramento di quanti si oppongono perfino a queste modeste modifiche dello status quo è imponente, dato che tiene assieme gli alfieri del nazionalismo, i paladini del welfare di Stato e coloro che, nel Mezzogiorno, intendono giocare la carta del populismo rivendicativo di un Sud abbandonato a sé stesso.

L’unico aspetto positivo, allora, è che la discussione sull’autonomia differenziata porta quanto meno ad affrontare il tema e permette di ragionare sul nesso tra statalismo e centralismo, tra la dilatazione dei poteri pubblici e il venir meno di ogni accountability a livello locale. Questo è soltanto il tempo delle parole, insomma. Per i fatti bisognerà attendere.