di Livia Paccarié

"Non dimenticherò mai gli occhi pieni di lacrime di Sua Maestà il defunto Scià nel giorno in cui lasciammo il nostro Paese". Farah Diba, 83 anni, è la vedova dell'ultimo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, per alcuni è ancora la regina di Persia. All'inizio del 1979, mentre veniva istituita la Repubblica islamica, re e regina lasciavano per sempre l'Iran. Prima del giorno dell'esilio, il Paese era la monarchia della dinastia Pahlavi, che aveva preso il potere nel 1925 e aveva reso l'Iran il più grande alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente. Oggi Farah Diba vive a Parigi, da dove risponde alle domande di HuffPost. "La rivolta in Iran è stata spontanea e unica nel suo genere, la diaspora iraniana ha dato il suo pieno sostegno a quella che ora dovrebbe essere definita rivoluzione", dice commentando le proteste che scuotono l'Iran da settembre e che hanno avuto un'eco globale. Proprio in Francia, a Lione, un iraniano ieri si è suicidato per sostenere la causa del suo Paese e per protestare contro l'indifferenza dell'Occidente. Farah Diba si definisce fiduciosa: "Il futuro dell'Iran è più luminoso del suo passato".

Con quale stato d'animo vive la situazione odierna in Iran, dove le proteste agitano il Paese da tre mesi? 

Speranza, ansia e dolore. Così posso riassumere il mio stato d'animo. Seguo ogni giorno quello che accade in Iran. Sono piena di ammirazione per i miei giovani connazionali. Secondo alcune stime oltre 500 dei nostri giovani, tra cui più di 60 bambini, sono morti finora, oltre 20.000 sono stati imprigionati, per non parlare delle ingiuste esecuzioni. Penso alle loro madri e condivido la loro grande sofferenza.

Come spiega l'esplosione e poi la diffusione di queste proteste?

Le cause sono molteplici. Un catalogo di incompetenza, corruzione, repressione e molti altri mali comuni a tutte le altre dittature. Ma c'è una differenza fondamentale, unica, che è la madre di tutti i mali e la causa principale della situazione attuale. Questo regime non appartiene alla nostra epoca, ai nostri tempi. La teocrazia di Teheran cerca di imporre valori medievali a una società del XXI secolo, una società che vive nell'era digitale. È semplice: i nostri giovani sono istruiti e soprattutto connessi, vogliono vivere, vogliono esistere, seguendo i valori dell'epoca in cui vivono.

Crede che questo movimento possa far cadere il regime islamico?

Rimango fiduciosa. So che chi governa ora in Iran non si ferma davanti a niente, opera qualsiasi barbarie, pur di rimanere al potere. Ma credo anche nel potere del popolo. Oggi è l'intera nazione a essere contro di loro, tutte le classi sociali, tutte le religioni, tutte le etnie. Il dissenso è penetrato anche tra i leader religiosi illuminati, i politici e gli uomini delle guardie armate, nonché tra la classe dirigente. La gente vuole chiudere questo vergognoso capitolo della nostra storia e voltare pagina. Come può il regime sopravvivere a queste sfide?

L'Iran potrebbe tornare com'era prima del 1979?

Fino ai devastanti eventi del 1979, l'Iran era la forza principale per la sicurezza e la stabilità in una regione turbolenta ed era sulla strada giusta per recuperare il ritardo rispetto alle nazioni avanzate. Il governo dell'epoca proteggeva i diritti socio-economici e la libertà religiosa, le donne avevano pari diritti rispetto agli uomini e i contadini iniziavano a rompere i confini semi-feudali. Nessuno veniva perseguitato per motivi di fede. Per una serie di ragioni complesse ci furono anche delle carenze, soprattutto nell'ambito delle libertà politiche. Mio marito, tuttavia, era determinato a preparare il terreno per una vera democrazia. Molti dei nostri cittadini guardano con nostalgia a quella che fu una leadership progressista e dinamica. Oggi, la giovane generazione è determinata a rivendicare e ricostruire la propria nazione: il futuro dell'Iran è ancora più luminoso del suo passato.

Vede una forza politica che può emergere per guidare il nuovo Iran? 

In una recente conferenza stampa, trasmessa in diretta in Iran su diversi canali satellitari, il principe Reza, mio figlio, ha detto che l'alternativa politica all'attuale regime sarà decisa dal popolo attraverso libere elezioni. La rivoluzione che sta avvenendo in questo momento in Iran è una rivoluzione dei giovani. Saranno loro a guidare l'Iran con il loro nuovo modo di pensare e le loro idee innovative. Non ho la minima preoccupazione al riguardo.

"Sostenere la causa di un Iran laico e democratico". Così recita l'account Twitter della famiglia Pahlavi. Qual è il vostro contributo concreto a questa causa?

Reza Shah Pahlavi è stato il portabandiera della laicità in una società che fino al suo avvento era bloccata nel fango, con un governo corrotto e un'influenza smisurata della religione negli affari dello Stato e del popolo. Il nome Pahlavi in Iran è intrecciato al secolarismo. Mio figlio, il principe Reza, ha portato avanti questa tradizione. Per oltre quattro decenni, in qualità di erede della corona Pahlavi, ha fatto della lotta per la democrazia laica la sua missione: un governo in cui la prima e l'ultima parola spetta allo Stato di diritto, derivato dalla volontà del popolo espressa alle urne. Ha anche insistito sulla sostituzione della forma di governo monocentrica con quella basata sulle istituzioni. Insieme al resto della Casa Pahlavi, condivido la sua visione e le sue speranze.

Che cosa ricorda dei giorni in cui ha seguito suo marito in esilio?

Non dimenticherò mai gli occhi pieni di lacrime di Sua Maestà il defunto Scià il giorno in cui lasciammo il nostro Paese.