Uno schema inquietante, con la connivenza palese di militari e polizia. A una settimana dalla Capitol Hill in salsa tropicale, i tasselli dell'attacco che ha sconvolto la democrazia del Brasile cominciano ad allinearsi. L'ultima testimonianza arriva dal Washington Post, che in un lungo reportage-inchiesta, spiega come i devastatori dei Palazzi delle istituzioni trovarono una zona franca davanti al quartier generale militare, dove erano rimasti accampati per settimane. Secondo la ricostruzione del quotidiano Usa, "quando domenica notte (8 gennaio) alti funzionari dell'amministrazione Lula" arrivarono davanti agli edifici dell'esercito con l'obiettivo di arrestare gli insorti, "si trovarono di fronte a carri armati e personale schierato". E stando a due testimoni citati in forma anonima, l'alto comandante dell'esercito brasiliano, il generale Júlio César de Arruda, si rivolse al ministro della Giustizia Flávio Dino, affermando: "Qui non arresterete nessuno", dando il tempo di fuggire a centinaia di sovranisti. Ma il quotidiano evidenzia anche "un cambiamento nel piano di sicurezza prima che i devastatori domenica si riunissero fuori dagli edifici federali", oltre "all'inazione e la fraternizzazione della polizia, e la presenza di un alto ufficiale" ufficialmente in vacanza. La ricostruzione coincide anche con la deposizione spontanea del governatore di Brasilia indagato e sospeso, Ibaneis Rocha, secondo cui fu il comando militare a rinviare lo sgombero del campeggio bolsonarista, fissato in un primo momento per il 29 dicembre. E mentre si indaga anche sul ruolo dell'ex presidente del sindacato della Polizia federale, Fernando Honorato all'interno del Tribunale supremo federale durante l'invasione, l'ex responsabile della sicurezza a Brasilia, Anderson Torres destituito domenica durante l'attacco, e indagato per connivenza, resta in custodia cautelare presso il Quarto battaglione Guarà a Brasilia, dove è stato condotto dopo il suo arresto al rientro dalle vacanze in Florida. Torres è rientrato in Brasile senza il telefono cellulare, probabilmente per evitare che potesse finire in mano degli inquirenti. E pare che anche l'ex presidente, Jair Bolsonaro, già prima di essere incluso nella lista degli indagati come mandante per le devastazioni, abbia cambiato numero di portatile per timore di essere intercettato. L'ex capo di Stato sembra anche aver ridotto il numero di chiamate e messaggi scambiati attraverso le app, delegando consiglieri e figli a parlare di questioni politiche delicate a suo nome, per evitare di esporsi. D'altra parte nelle ultime ore, il guardasigilli Flavio Dino ha fatto sapere che nel corso degli arresti sono stati sequestrati oltre mille cellulari, che saranno esaminati nel tentativo di identificare chi ha finanziato ed organizzato l'invasione nella capitale una settimana fa. Intanto, nonostante le pressioni affinché Jair Bolsonaro torni in Sudamerica, una data del suo rientro dagli Stati Uniti ancora non c'è. E il ministro Dino, che al momento non vede elementi per indagare l'ex presidente per la bozza di decreto trovata a casa di Torres, volta a ribaltare con un colpo di mano il risultato elettorale, allo stato esclude per una richiesta di estradizione. Bolsonaro resta perciò nell'abitazione messa a disposizione dall'ex lottatore di arti marziali e suo simpatizzante José Aldo, a Kissimmee, a circa 35 km da Orlando, a pochi minuti dai parchi Disney, in compagnia della moglie Michele, e dalla figlia minore Laura. L'alloggio, sotto vigilanza dei servizi segreti americani, fin dall'arrivo della famiglia, il 30 dicembre, è diventata meta di pellegrinaggio di numerosi supporter. Dai social network rimbalzano immagini folkloristiche di sostenitori riuniti per pregare per l'ex presidente, che all'inizio della settimana era stato brevemente ricoverato per un'occlusione intestinale, mentre venerdì l'ex capo di Stato ha soddisfatto le richieste di autografi, firmando bandiere, calendari, magliette, e persino scarpe da ginnastica.