Come Berlusconi perse la guerra di Segrate e il controllo di Repubblica. Terza parte della analisi  su grandezze e nefandezze di un protagonista della vita italiana dell’ultimo mezzo secolo.

di MARCO BENEDETTO

L’intervento di Ciarrapico, con l’ombra di Andreotti sulla testa, fu decisivo. La Mondadori, rimasta a Berlusconi, fu riportata alle origini: libri e riviste.

All’Espresso, controllato dalla CIR, controllata dalla Cofide, controllata dalla holding di famiglia di Carlo De Benedetti, andarono Repubblica e una quindicina di quotidiani locali.

Grazie alla guerriglia di Caracciolo e Passera, De Benedetti si trovò in mano un gioiello che era anche un bazooka politico. Se ne servì in più modi. Il giornale fu decisivo nella caduta di Berlusconi.

Come primo atto da nuovo proprietario, De Benedetti licenziò da direttore dell’Espresso Giovanni Valentini, che aveva retto la Resistenza a Berlusconi come un vero capo partigiano.

Mi ordinò anche di non comprare da Scalfari e Caracciolo le rotative che avevo clandestinamente comprato per fare uscire, in caso di sconfitta, un nuovo giornale (Scalfari non era molto ottimista circa la forza del suo solo nome come elemento di vendita del nuovo giornale: contro le 600 mila di Repubblica ne prevedeva al massimo 240 mila).

Disobbedii a De Benedetti, come altre volte. Scalfari, forse il più grande giornalista italiano del secolo, volle anche gli interessi.

Spietato con i concorrenti, Berlusconi era grande e generoso con i suoi fedeli. Se eri dei suoi, ti colmava di doni, inclusi gli appartamenti. Ricordo la gioia di Amedeo Massari, quando scoprì che Berlusconi gli aveva regalato una casa. E credo che non sia stato il solo, nell’inner circle, a essere così beneficato.

Ma credo che anche grande parte dei dipendenti non potesse lamentarsi di Berlusconi e della sua larghezza col denaro.

Sfido. Tra ricavi stellari e stretto controllo degli sprechi, Mediaset arrivava a margini sopra il 30%, fatturato in rapporto ai costi. Poteva permettersi di essere generoso.

Ma c’era qualcosa di più, un senso di fedeltà e lealtà con i suoi uomini (donne credo solo un paio) che ha trattenuto attorno ai figli e alle aziende il massimo del patrimonio professionale accumulato in mezzo secolo di lavoro.

La storia di Berlusconi ha inizio negli anni ’50-’60, quando, appena laureato, mette su un complessino con il suo compagno di scuola (e ancor oggi al vertice di Mediaset) e intrattiene i passeggeri sugli ultimi transatlantici e sulle prime navi da crociera. Ho letto in alcuni coccodrilli un tono snobistico da parte di giornalisti di oggi nel riferirsi a questi esordi. Snobismo da figli di papà. All’epoca molti giovani di buone speranze trovavano in quella delle band una divertente attività per guadagnare un po’ di soldi in vacanza. Per me bambino erano un mito.

L’Italia era in pieno boom. Milano, capitale morale ed economica, era satura di immigrati, non solo contadini dalla Padania e dal Veneto ma anche giovani diplomati e laureati figli della guerra, emergenti dei nuovi ceti medi, per i quali vivere in centro era troppo costoso e anche soffocante.

Berlusconi fu tra i primi a capire e, ispirandosi ai modelli inglesi e americani delle città satelliti, inventò Milano 2.

Erano anni di inflazione galoppante, sopra il 25%, le banche i soldi non li davano nemmeno alla Fiat, figuratevi se imprestavano milioni di allora a un baldo giovanotto trentenne con grandi idee e poco più. Questo dà credibilità alla ipotesi che Berlusconi sia stato messo in contatto con qualcuno in Sicilia che i soldi li aveva ma non erano, come si dice oggi, tracciabili.

Questo è un lampo di quel dark side di Berlusconi che ci ha tormentato in questi anni. Penso che le varie rivelazioni dei vari pentiti abbiano contribuito a inquinare il racconto, spostando convenientemente i tempi e dirottando l’attenzione sulle stragi mancate degli anni ’80 invece che sugli esordi.

Anche la presenza dello “stalliere” Mangano ad Arcore per me è più legata ai fondi neri costituiti da Berlusconi ai Caraibi con la cresta sull’acquisto dei film americani, probabilmente senza dirlo agli azionisti impresentabili, che non a paure di rapimenti o stragi.

Mentre Berlusconi costruisce Milano 2, in Italia il monopolio Rai si sgretola. Siamo nei primi anni ’70.

Ancora nel 1960 la Corte Costituzionale aveva confermato l’esclusiva Rai con l’argomento della scarsità delle frequenze disponibili in Italia, negando al Tempo di Renato Angiolillo la possibilità di mandare in onda Tempo Tv. Stesso argomento per le radio. La tesi era che chiunque può fare un giornale, in quanto basta una rotativa, mentre le frequenze disponibili in Italia erano contate. Argomento un po’ fallace, visto che per fare il Corriere della Sera o Repubblica da zero ci vuole qualche milione o miliardo.

Poi però succede che in Inghilterra esordiscono le prime radio private e sfidano il monopolio della BBC: la mitica Radio Luxembourg, che trasmetteva da una nave ancorata in acque extraterritoriali, poi Capital Radio. Intanto volano le tv private regionali consorziate in Itv: il modello vede i costi coperti della pubblicità, mentre la BBC è finanziata dal canone e non trasmette spot pubblicitari.

In Italia rompe il muro Tele Biella, una tv via cavo. Sfrutta il fatto che la Tv via cavo non era inclusa nei divieti della legge italiana. Seguono feroci polemiche politiche fino a quando la Corte Costituzionale apre al futuro, riconoscendo il diritto di esistere non solo per le tv via cavo, ma anche alle trasmissioni via etere, limitatamente all’ambito locale.

Restava il macigno del limitato numero di frequenze disponibili in Italia che sarebbe stato rimosso col passaggio al digitale, 40 anni dopo durante i quali fu una costante della Corte Costituzionale. E fu anche alla base della Legge Mammì del 1990 (quella per la cui rapida approvazione rinunciarono alla poltrona di ministro Mattarella e gli altri del gruppo di Ciriaco De Mita: fatto talmente eccezionale da essere ricordato nei libri di scuola; ma in Italia pochissimi conservano memoria, tra loro era Berlusconi).

La legge Mammì, basandosi sulla scarsità delle frequenze, stabilì che Rai3 di Rai e Italia1 di Mediaset non fossero più trasmesse via etere da terra bensì per via satellitare. Ciò avrebbe ridotto di un terzo il bacino di spot della offerta pubblicitaria di Berlusconi, per il quale invece la interfunzionalità delle tre reti, con tutti i possibili giochi di pacchetti e orari, era un dogma come la Trinità per i cristiani.

Come chiunque giunto a maturità prima del nuovo secolo può avere constatato, Rai3 e Rete4 sul satellite non ci sono mai andate.

Berlusconi è stato fuori legge per vent’anni e nessuno se ne è accorto o ha voluto accorgersene. Nemmeno i tanto feroci comunisti, sempre con la testa da un’altra parte, sempre complici nel gioco della Rai.

Anche la Corte dimostrò una fantastica tolleranza per Berlusconi. Ci fu un momento, una ventina di anni fa, in cui Berlusconi prese ad attaccare la Corte Costituzionale. Mi chiesi perché. Conclusi che si trattava di un attacco preventivo, forse aveva avuto sentore di un imminente richiamo all’ordine, e attaccava per primo.

Finalmente un passaggio di Rai al digitale terrestre un po’ arronzato e ancora imperfetto dissolse l’incubo.

Erano passati trent’anni dall’inizio della avventura e aveva avuto inizio la fase calante.

Ma allora, negli anni ‘80, era la ouverture di una marcia trionfale.

Il genio di Berlusconi si scatena. Fa incetta di tv locali e di frequenze (ben consigliato da Adriano Galliani in questa mossa decisiva), mentre aggira la legge che limita le emissioni all’ambito locale con un semplice, quasi banale stratagemma. Registra i programmi, manda le cassette in tutta Italia facendole mettere in onda con pochi minuti di intervallo fra le varie emittenti.

Così la legge era formalmente rispettata ma agli inserzionisti era garantita una quasi contemporaneità, condizione indispensabile per l’efficacia degli spot e la loro coerenza con le caratteristiche dei profili delle ricerche.

Ma un pretore non accettò la soluzione e bloccò Canale 5. Ne seguì una pantomima politica. Bettino Craxi, grande amico di Berlusconi e come lui ossessionato dai comunisti che poi alla fine ne decretarono la fine, ricattò il primo ministro Andreotti minacciando la crisi di governo se non fosse stato permesso a Berlusconi di trasmettere. Fu il liberi tutti. (Il decreto fu dichiarato incostituzionale 10 anni dopo e sostituito dalla Legge Mammì del 1990 di cui dico sopra. In quei 10 anni Berlusconi costruì il suo impero).

Così due editori della carta stampata si misero all’opera, Mondadori con Rete4 e Rusconi con Italia1. Fu una catastrofe. Rusconi si ritirò dalla tv nel giro di pochi mesi, cedendo la rete allo stesso Berlusconi.

Mondadori quasi fallì. L’azienda fu salvata con una operazione di ingegneria finanziaria architettata dalla Mediobanca di Enrico Cuccia. A controllare la casa editrice fu costituita una holding, Amef, il cui capitale era diviso fra i discendenti del fondatore Arnoldo Mondadori, Berlusconi e il suo arcinemico Carlo De Benedetti. Erano le premesse per la guerra di Segrate, scoppiata a fine anni ’80 fra i due tycoon.

Nel procedere Berlusconi si prese Rete 4. Se non l’avesse fatto, la Mondadori sarebbe affondata.

Hai voglia a dire che Berlusconi li ha stesi tutti con l’inganno e si è preso le loro tv a prezzo di saldo. La verità è che è stato il più bravo di tutti, nel bene come nel male.

Nel bene si registra l’incetta di film americani fatta da Berlusconi, lasciando ai concorrenti ben poco da mostrare.  Quando si presentarono a Hollywood, festanti come in una gita aziendale, trovarono terra bruciata.

Con quei film Berlusconi rivoluzionò usi e costumi della tv in Italia. Fino al suo avvento, la Rai monocanale trasmetteva un solo film l a settimana, scelto con criteri anche di qualità e

valori cultuali da un bravo critico genovese, Claudio G. Fava. Dovevano inoltre essere trascorsi 2 anni dal passaggio in sala. Con Berlusconi furono film di ogni tipo a ogni ora dall’alba a notte fonda, un trionfo.

Nel processo fu scardinato anche il sistema di distribuzione: Molto meno gente andava al cinema, la tv glielo portava in casa. Ci sono proprietari di sale che ancora girano gli occhi al cielo al solo nome di Berlusconi. Il quale entrò poi nel settore, comprando parecchie sale, forse un po’ con intenzioni risarcitorie.

Dalla lista del male ricordo solo un racconto che circolava negli anni ’80.

Riguarda la pubblicità ed è esemplare della astuzia di Berlusconi, sempre in azione.

Raccontavano, nei secondi anni ‘80, di un episodio della concorrenza fra Canale5 e Rete4.

Publitalia, la rete costruita da Marcello Dell’Utri, vendeva la pubblicità di Canale5. Berlusconi era il venditore principe, pranzo e cena con potenziali clienti, contratti basati sul principio: mi paghi in funzione dell’aumento del tuo fatturato.

Soprattutto però, l’argomento vincente erano i prezzi bassissimi se confrontati con quelli di Rai e della carta stampata. Su entrambi i rivali pesava lo scarcity value, il valore dato dalla limitatezza dell’offerta. Per Rai era conseguenza dei forti limiti imposti all’affollamento, gli editori dovevano considerare, oltre agli ingenti costi da coprire, anche il costo di carta e stampa delle pagine pubblicitarie aggiuntive.

La tv commerciale non aveva costi aggiuntivi, anzi. Dovendo riempire le 24 ore, più pubblicità c’era meno film e programmi servivano. Lato ricavi, una lira era ed è meglio di zero. Gli spettatori erano felici e tolleranti. In alternativa a una Rai che ti infliggeva l’Orlando Furioso in versione Luca Ronconi, qui avevi gratis i film del momento e più avanti Drive In.

La pubblicità su Rete4 era venduta dagli stessi uomini e donne che vendevano Panorama e Grazia. Logiche di costi e prezzi opposte.

L’allora capo di Mondadori, Mario Formenton, dopo tante proteste, arrivò a un accordo. I prezzi sarebbero stati bloccati senza sconti. Era venerdì. L’accordo entrava in vigore lunedì. Quelli di Mondadori partirono per il week end, Berlusconi e i suoi si misero pancia a terra e riempirono i carnet ordini. Quando con la nuova settimana i concorrenti iniziarono a vendere, scoprirono che non c’erano più budget disponibili.

Concludo con un altro fatto determinante nella sua romanzesca carriera. Coincide con il suo ingresso in politica, la discesa in campo.

A quel tempo l’Italia era sconvolta dalla tormenta nota come Mani Pulite. Un gruppetto di magistrati della Procura della Repubblica di Milano aggredì la classe politica ed economica italiane con una serie di arresti per corruzione e tangenti.

Avevano il pieno sostegno della gente, esasperata dalla virulenza dei potenti.

Il risultato non è stato granché, anzi penso che avere spettacolarizzato inchieste e processi (incluse dirette tv) ha fatto solo danni. Guardate come si sono comportati i tedeschi con Helmut Kohl per rendervi conto: anche questo ha pesato nella differente evoluzione dei due Paesi. L’Italia non è il Paese più corrotto del mondo. Altri che si vestono di ipocrita moralismo nel giudicarci sono peggio. Noi però ce l’abbiamo messa tutta per coprirci di ignomina.

Ricordo con un brivido quel momento in cui i pm di Milano sfidarono i vertici dello Stato in diretta tv all’ora di pranzo. In Francia sarebbe arrivata la gendarmeria, da noi fu un tripudio.

Il 1989 fu in tutto il mondo un anno di crisi economica. In Italia, in fase di riassestamento dopo un decennio di crescita, la crisi durò più a lungo e Berlusconi rischiò di esserne travolto. Si era allargato troppo. Oltre al blitz su Mondadori pesava l’attuazione di un altro grandioso disegno. Lo sentii raccontare dallo stesso Berlusconi in un momento di umiltà in una delle riunioni del lunedì.

L’idea era semplice. Avendo ottenuto la completa copertura della Penisola con le frequenze di Canale5, appariva logico l’abbinamento spot- supermercati. In tal modo gli italiani guardavano Canale5, vedevano la pubblicità e alla Standa, nel frattempo annessa al nascente impero, trovavano i prodotti da acquistare.

Non andò così perché la Standa non copriva l’Italia con la facilità delle frequenze. E anche perché nel frattempo arrivò la recessione di cui sopra.

Fu una altra occasione per Berlusconi per mostrare la sua capacità di sopravvivenza e oltre.

Si era arrivati al punto che a Milano ti dicevano che Berlusconi era ormai spacciato. Si parlava di debiti oltre i 7 mila miliardi di lire, tre miliardi e mezzo di oggi. Enrico Cuccia, il gran maestro della grande imprenditoria italiana, con la sua Mediobanca architetto della rinascita industriale del dopoguerra, si diceva che a Berlusconi non rispondeva nemmeno al telefono.

Berlusconi fondò Forza Italia, con l’aiuto organizzativo di Dell’Utri e la ossatura della rete di Publitalia, aggregò fascisti e Lega, fenomeno nato dalla ribellione del Nord alla redistribuzione di risorse in eccessivo favore del Sud. Vinse le elezioni e diventò presidente del Consiglio.

Allora Cuccia prese il treno e si presentò a Palazzo Chigi di persona, senza bisogno di telefono.

Cuccia inventò Mediaset, costrinse Berlusconi a subire le regole della Borsa e dei soci di minoranza e lo salvò dalla bancarotta.

E ora? Sono un reporter e non mi sento in grado di fare previsioni.

Lo scenario è molto cambiato dai miei tempi. I giornali vendono sempre meno copie (ma contano sempre molto), internet ha sconvolto gli usi di lettura e la pubblicità. Il modello della tv di Berlusconi è saltato dall’arrivo del satellite ed è stato sconvolto da Netflix e replicanti.

Unica sopravvissuta mi sembra la Mondadori. Sotto la guida di Ernesto Mauri si è focalizzata sulla vocazione originaria della editoria libraria. Mi pare con risultati positivi.

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