“Italicità” non significa solo “parlare di passaporti o di servizi consolari”, cittadinanza “è soprattutto cultura” che “si alimenta con lo scambio, lo studio e la ricerca”. Così Fabio Porta, deputato Pd eletto in Sud America, ha sintetizzato il senso della conferenza promossa oggi pomeriggio alla Camera dal titolo “La cooperazione universitaria scientifica e tecnologica tra l’Italia e l’America Latina: attualità e prospettive”, alla presenza della vice presidente della Camera Anna Ascani e di numerosi rappresentanti delle università italiane così come delle Ambasciate latinoamericane a Roma.
Nell’aprire i lavori, Gianni Lattanzio, segretario generale ICPE, ha ricordato la “storia di grande rapporti tra Italia e America Latina” cresciuta “anche grazie alle comunità italiane che hanno contribuito alla costruzione delle società di quei Paesi”. Una storia “spesso dimenticata” che è “assolutamente da riprendere oggi”.
La “profonda amicizia”, e “l’intensa collaborazione” tra l’Italia e i Paesi dell’America Latina sono state evidenziate anche da Ascani, che ha auspicato il rafforzamento dei rapporti tra università e istituti di ricerca ed evidenziato l’importanza delle “opportunità per gli studenti in mobilità”. Andare all’estero “se non è una scelta obbligata, è un’esperienza fondamentale”, ha rimarcato Ascani, secondo cui la relazione con l’America Latina è caratterizzata da “alti momenti di maturità e una fitta rete di collaborazioni”. Si tratta di una “parte del mondo che ha accolto migliaia di connazionali che con coraggio hanno affrontato un lungo viaggio” con la “speranza” di un futuro migliore. “Ora quel continente accoglie i loro figli e nipoti”, ha osservato Ascani, che ha concluso evidenziano l’importanza di valorizzare questo “rapporto speciale”, nato e cresciuto anche grazie a “comunità italiane laboriose e integrate”.
Promotore del convegno, Fabio Porta ha sottolineato la “centralità” del tema scelto “non solo per le relazioni bilaterali dell’Italia col continente, ma anche per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese” che “ha bisogno di più apertura al mondo, anche attraverso università e istituti di ricerca”.
Richiamato il seminario sugli italici promosso nelle scorse settimane, Porta ha sostenuto che “parlare di cittadinanza o di presenza italiana nel mondo se viene coniugato con azioni concrete rimangono concetti sterili, retorici, quasi stereotipati”. “Italicità” significa “non solo parlare di passaporti o di servizi consolari”, perché “cittadinanza è soprattutto cultura” che “si alimenta con lo scambio, lo studio e la ricerca”.
Oggi più che mai è necessario “dare forza e gambe alle iniziative che alimentano questo ponte tra Italia e America Latina” anche attraverso “accordi tra università” che si vuole ora “censire e aggiornare per rilanciarle e, se possibile, moltiplicarle”. Fondamentale riconoscere “l’equipollenza dei titoli di studio, il riconoscimento dei diplomi”, temi che hanno bisogno “dell’attenzione del governo” e di “azioni politiche e diplomatiche”.
La cooperazione tra università “ha bisogno dell’apporto di Governo e Parlamento”, ma anche di “enti come Cnr e IILA”, senza dimenticare il ruolo delle imprese. Concludendo, Porta ha fatto suo l’auspicio espresso ieri a Santiago dal Presidente Mattarella: “che il 2023 possa rappresentare per noi quel nuovo punto di partenza. America Latina, Italia, Europa non condividono soltanto un passato ricco di memorie condivise. Caratterizza le loro relazioni un presente fatto di sensibilità e interessi convergenti, e un futuro di reciproco benessere”.
Moderati da Lattanzio sono quindi intervenuti rappresentanti delle università e Francesco Tufarelli, segretario generale del Cnel, che ha sostenuto come l’università “faccia cooperazione da sempre”. L’accademia, ha aggiunto, “declinata in tutti i suoi elementi – dai docenti agli studenti - è la nostra avanguardia in tutti i Paesi, soprattutto con quelli “più difficili” o con governi “faticosi” con cui trattare”. Un concetto ribadito anche da Eugenio Di Sciascio, già rettore del Politecnico di Bari città di cui ora è vicesindaco, secondo cui “in questo periodo di estrema incertezza, anche geopolitica, le università e i rapporti tra loro sono un primo elemento per comprendersi”.
Tanti gli spunti sollevati da Raffaella Castaner, prorettrice per l’internazionalizzazione dell’Università di Bologna: “le università nascono per essere internazionali e mettere insieme persone con background diversi”, ha detto Castaner, spiegando come ora “le comunità di studenti siano sempre più di internazionali”, così come il corpo docente. Ricordato che l’Alma Mater da 25 anni ha una piccola sede a Buenos Aires, Castaner ha sostenuto che gli atenei “devono presentare un’immagine attuale dell’Italia” anche collaborando con le altre istituzioni, sempre “in un’ottica di reciprocità”: gli accordi “vanno in entrambe le direzioni”. Importante “lavorare come reti, ragionare come sistema” - una modalità che “ci rende più forti” – ma anche lavorare a “offerte formative di valore” all’altezza delle università degli altri Paesi. Fondamentale lavorare a “titoli multipli e congiunti con le Università dell’America Latina”, ma “serve il supporto ministeriale” per ottenere “strumenti più snelli”. Infine, Castaner ha citato l’importanza delle “reti dei ricercatori degli Alumni”.
Per Bruno Botta, prorettore per l’internazionalizzazione de La Sapienza di Roma, l’università “serve a studiare, a incontrarsi e a muoversi senza barriere”. L’università deve “mettere tutti in condizione di avere le stesse opportunità”. Didattica e ricerca “sono attività che devono camminare di pari passo”, ha aggiunto, ricordando infine l’importanza di avere una buona posizione nei ranking perché “gli studenti scelgono in base a quello”.
Francesco Donsì, delegato del rettore per l’internazionalizzazione dell’Università di Salerno, ha presentato le esperienze dell’ateneo in America Latina, sottolineando, tra l’altro, che “i tanti italiani siano un forte volano per istituire rapporti di cooperazione”. Importante anche “la rete degli addetti scientifici” delle Ambasciate in America Latina, che presto si estenderà, perchè fanno ad “collegamento con le Università”. Ad oggi “manca un apporto strategico per la cooperazione universitaria, manca un forte piano di Sistema Paese che porti non alla competizione, ma ad una presentazione unitaria”, pur nelle naturali diversità, “per sviluppare le sinergie che ora mancano”. Ad esempio, ha concluso Donsì, “per le Borse di studio si potrebbe comunicare in modo unitario tutta l’offerta nazionale, così che uno studente straniero che ne richiede una, anche se non dovesse ottenerla, saprebbe che ce ne sono altre messe a disposizione da altre università italiane”.
Nella seconda parte della conferenza, Roberto Reali del Cnr ha parlato della “costruzione dell’interazione”, cioè “di rapporti che nascono dall’esigenza concreta di due diverse parti”, così come dell’importanza della libertà degli studenti nella loro mobilità” ma anche “della costruzione dei saperi comuni”.
Antonio Puliafito del Cini – Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica – ha spiegato che l’ente riunisce 47 università e più di mille ricercatori impegnati nell’informatica. “Ho sentito tanti parlare dell’importanza di dare una visione universitaria come Sistema Paese: il Cini è una struttura che lo fa”. Strutturato in diversi laboratori, illustrati da Puliafito, per quello sulle smart cities, ad esempio, il Cini sta raccogliendo tutte le ricerche e le proposte delle università italiane, che quindi verranno presentate in modo unitario, “di sistema”. Importante “un approccio aperto” sia “nell’interazione tra ricercatori” che “nella diffusione dei dati”.
Foad Aodi, docente a Tor Vergata e presidente nazionale dell’Associazione dei medici di origine straniera: da medico e docente collabora con 12 università. Nata nel 2000 dopo la legge Martelli “in un periodo in cui nessuno parlava di integrazione”, l’associazione “è aperta a tutti, in tutti i continenti”. Testimone delle “tre fasi dell’immigrazione recente in Italia”, Aodi ha spiegato che “la prima era costituita da studenti, soprattutto da Paesi arabi, di cui faccio parte anche io; la seconda, iniziata con il crollo del muro di Berlino, fatta di medici laureati nei paesi dell’est che hanno ottenuto per la maggior parte il riconoscimento dei titoli; la terza fase è iniziata con la primavera araba, con medici dalla Siria”. Ad oggi ci sono in Italia “77.500 professionisti della sanità di origine straniera in Italia: 22mila medici, 8 mila infermieri, 5mila farmacisti, 5 fisioterapisti e 5mila altre professioni”. È “scandaloso” però che “non possono fare concorsi pubblici senza la cittadinanza”. Oggi “tutte le regioni ci vogliono” perché in crisi, ma “per il riconoscimento dei titoli ci vuole più di un anno”. Sull’internazionalizzazione l’Italia “è molto indietro” rispetto ad altri Paesi, e “la decrescita degli studenti stranieri lo dimostra”.
Tatiana Ribeiro Viana, segretario tecnico-scientifico dell’IILA
Portati i saluti di Cavallari, si è soffermata sulla diplomazia multilaterale evidenziando il ruolo dell’IILA; citati il prossimo vertice Ue-Celac in programma a Bruxelles e la Conferenza internazionale italo-latino americana organizzata dalla Farnesina e in programma quest’anno, Ribeiro ha sottolineato l’importanza della soft diplomacy svolta dall’IILA che si estende dalla cooperazione giuridica e cultuale passando per l’accademica: “l’azione dell’Organizzazione è utile sia per stringere i rapporti tra atenei di diversi paesi sia per attrarre studenti nelle università italiane, promuovendone l’eccellenza”. L’Istituto punta ad “agevolare i rapporti tra Paesi”. Oggi “l’interazione tra scienza e ricerca è un tema centrale nell’agenda di tutti i Paesi che fanno parte dell’Organizzazione e la sinergia tra attività scientifica e diplomatica è sempre più sistematica e strutturata”. La diplomazia scientifica e accademica dell’IILA si articola attraverso diversi strumenti: “accordi internazionali, collaborazioni e programmi di ricerca; formazione di personale scientifico qualificato, con borse di studio finanziate dal Maeci in collaborazione con le università”.
Da 60 anni l’IILA - “nata per essere un ponte” tra Italia e America Latina - “mette a sistema” l’offerta italiana.
Nel terzo panel della conferenza sono intervenuti – in presenza e da remoto - Daniel Antenucci, direttore della Cattedra Italica all’Università di Mar del Plata, nata nel 2019 su spunto di Bassetti e del suo manifesto “Svegliamoci italici”, che ha evidenziato come l’Italia non stia sfruttando abbastanza la sua influenza cultuale in America Latina; Franco Bartolacci, rettore della Università Nazionale di Rosario, che ha ribadito l’importanza di migliorare i rapporti tra le università italiane e argentine su tre aree in particolare: mobilità di studenti e docenti, che paga difficoltà burocratiche; doppio titolo di studio, con la firma di altri accordi, che UNR ha siglato con le università di Bologna e L’Orientale di Napoli; approccio scientifico comune; Regina Celia da Silva, docente di italiano all’Università Campinas, la seconda più importante in Brasile per numero di brevetti, ha citato le cooperazioni attive con le università italiane nate da accordi ufficiali. Come unica docente di italiano in una università così grande, da Silva ha rilanciato l’appello alla difesa di studiare e fare ricerca in altre lingue e non soltanto in inglese, promuovendo “i nostri volgari”; e Maria Rosaria Barbato da Roma Tor Vergata nel momento post-crisi 2008 ha deciso di insegnare diritto del lavoro dell’Università Federale del Minas Gerais; evidenziata la “solidità” della preparazione universitaria italiana, Barbato ha spiegato che le risorse economiche per l’internazionalizzazione in Brasile sono state ridotte all’osso dall’ultima presidenza, ma che, nonostante ciò, la sua università è riuscita a mantenere alti standard. Ora, citate le “nuove aspettative” riposte nel nuovo corso politico. Evidenziate le difficoltà di adattamento in un Paese diverso, in un Continente dall’alta instabilità politica, Barbato ha ammesso che “noi andiamo via dall’Italia, ma l’Italia non va via da noi”. La docente, che è anche consigliera del Comites del Minas Gerais e membro dell’Istituto Italo Brasiliano di Diritto del lavoro, ha spiegato che “questa esperienza ha permesso scambi e contatti con alcune università di Roma”. Da sindacalista, Barbato ha sostenuto che sarebbe importante “creare progetti con l’America Latina come l’Erasmus plus”, ma anche “migliorare la comunicazione sui programmi di ricerca”, e “facilitare il riconoscimento del titolo di laurea”, che “è un’operazione difficilissima” per un ricercatore all’estero. Infine, da membro dell’Associazione dei Ricercatori Italiani in Brasile, che raggruppa 100 dei 500 ricercatori presenti, ha ricordato che “ancora manca un accordo bilaterale di sicurezza sociale per i dipendenti pubblici e i professionisti. Un ostacolo grave che non incentiva i ricercatori ad andare all’estero”.
Nell’ultima sessione sono intervenuti Maria Teresa Sassano, vicepresidente per l’internazionalizzazione di Confindustria Foggia, Raffaele Marchetti, prorettore per l’internazionalizzazione della Luiss, secondo cui le università dovrebbero dedicare spazio e risorse per i discendenti di italiani in America Latina, come la sua università ha iniziato a fare con le borse di studio bandite quest'anno, spiegando che ci sono all'uopo anche risorse europee che l'Italia non usa; Giuseppe Marucci, vice direttore del Comitato per la divulgazione della cultura scientifica del Ministero dell’università, e Giorgio Maracchioni, presidente della Fondazione ITS.
(m.cipollone\aise)