Depositphotos

di FRANCO MANZITTI

Se in Brasile aveva vinto il capitano Jair Bolsonaro, sprofondando uno dei paesi chiave del terzo Millennio e della nuova geopolitica nel caos, perché in Argentina non poteva vincere questo Xavier Milei, anarco capitalista, con motosega imbracciata, un programma capovolto di economia, nemico numero uno del papa argentino Bergoglio?

La fine del peronismo, che ha governato questo paese ricco e impotente per decenni e decenni, salvo la  terribile parentesi militare di fine anni Settanta e inizio Ottanta del secolo scorso,  salvo qualche sprazzo di democrazia  radical liberale, la decreta questo cinquantenne che porta alla Casa Rosada un esperimento di governo mai visto su l'orbe terracqueo.

Tra “dollarizzazione” della moneta, con eliminazione del pesos, attacco totale alle istituzioni, dieci ministeri cancellati, “ afuera” come urla lui, nuovo disegno di alleanze mondiali, la prima, ovviamente con Donald Trump, di cui è, a partire dal ciuffo, la controfigura “criolla”.

La vittoria è eclatante per il distacco di 11 punti da Sergio Massa, il ministro uscente all’Economia, distrutta da una inflazione al 142 per cento e il numero di 4 milioni di voti in più, conquistati dopo il primo turno, nel segno di una definitiva volontà del popolo argentino di finirla con il peronismo nelle sue mille versioni dal 1951 a oggi.

Il papa Francesco, che lui aveva insultato per tutta la campagna elettorale, definendolo una “bestia del diavolo”, “un prete comunista”, gli ha telefonato e lui gentilissimo lo ha invitato a Buenos Aires, dove Francesco non è mai venuto nei suoi dieci anni di pontificato. E verrà a visitare le “villa miserias” dove faceva il cardinale dei poveri, prima di diventare pontefice. E questa è già una svolta.

Poi ha ricevuto il suo predecessore Fernandez con educazione e senza motosega sul tavolo per le consegne. Ha programmato due viaggi prima del 10 dicembre, data del suo insediamento nella casa Rosada. Saranno ovviamente negli Usa e poi in Israele.  Si dice che stia avvicinandosi all’ebraismo.

Ha raffreddato subito il suo accordo con i paesi emergenti del Bric, le economie “in crescita” che lo tentavano con la Cina che stava già conquistando pezzi di Argentina sotto il regno della zarina post peronista, Kristina Kirchner. Anche se ha accettato il benvenuto di Ignazio Lula da Silva, il presidente brasiliano, ex sindacalista, il leader più vicino a lui geograficamente e più lontano ideologicamente.

Insomma Milei, inequivocabili radici italiane, un programma rivoluzionario e compagni di strada impresentabili, come la possibile vice, Victoria Villaruel, che guiderà Interni e Difesa, amica e parente dei figli dei generali assassini che fecero strage negli anni della dittatura, una negazionista di quegli anni terribili del generale Videla e dei suoi compari militari e la sorella Karina Milei, che il neo presidente chiama “el chefe”, il mio capo, sta impattando la realtà argentina di questi giorni, meglio di queste ore.

Nei giorni seguenti alla vittoria choc l’inflazione galoppante presenta scene incredibili nelle strade di Baires e non solo: i ristoranti pieni e i negozi saccheggiati, in attesa che domani non si possa comprare o pagare più niente.

Siamo alla soluzione finale, dopo decenni di tempeste monetarie, voragini di debiti con il Fondo Monetario, emissione di miniassegni, fino al famoso “patacon”, una valuta parallela, convertibilità tolte e riammesse.

Si vedono turisti negli alberghi del centro elegante di Buenos Aires pagare il conto di una settimana con una valigia piena di mazzette di pesos, che il portiere diligentemente conta con una macchinetta. Massaie che fanno la spesa con la sporta piena di banconote, svuotate e poi riempite di ortaggi, frutta e pane.

Il piano di Milei è anche la privatizzazione a tappeto, vendendo la compagnia petrolifera Ypf, la tv pubblica, l’agenzia di notizie Telam, voce del governo peronista. Ma chi li compra in questo contesto incomprensibile?

Per far partire la “dollarizzazione” ci vorrebbe una dotazione di questa moneta che farebbe da base alla sostituzione del pesos. Ma l’Argentina non ne ha, non riesce neanche a pagare le rate al FMI e le riserve sono esaurite.

Gli esperti economisti americani prevedono che, se ci fosse il cambio con il dollaro, avremmo in Argentina  una valuta forte con il 3 per cento di inflazione e un'economia debole con il 143. Come è possibile farlo, senza schiantare completamente il sistema di sopravvivenza “criollo”?

Forse una strada più praticabile è quella che da tempo suggeriva il presidente brasiliano Lula, che ben prima della vittoria di Milei aveva proposto a Buenos Aires una alleanza valutaria per una comune moneta intermedia da incominciare a usare nei più grandi paesi del Sud America.

Dove , però, dopo la vittoria boom Milei si trova abbastanza isolato: Venezuela, Bolivia,. Ecuador, Cile hanno governi più di sinistra, lontani dall’ anarco capitalismo di Xavier Milei.

Un altro problema sono, appunto, i rapporti con la Cina, molto avanzati durante i governi precedenti, al punto che lo yuan, la moneta cinese, stava spadroneggiando in Argentina, grazie ad accordi che permettevano al governo peronista di usarlo per i suoi debiti kolossal e grazie a ingenti investimenti fatti da Pechino sul territorio fino alla costruzione di quella base artica. Ben quattro filiali bancarie cinesi svettano nel cuore di Buenos Aires.

Come finisce tutto questo, visto che tra i primi annunci del vincitore e della futura ministra degli esteri, Juanita Moreno, l’Argentina non aderirà al Bric, l’alleanza dei paesi emergenti che avrebbe dovuto firmare entro il 1 gennaio.

Assisteremo, comunque, a una bella danza tra dollaro, yuan e pesos nei prossimi mesi e probabilmente sarà un tango. Ma col casquè..

Intanto l’Argentina, che era sparita dall’attenzione mondiale oramai da decenni, presente solo per i trionfi calcistici ( è campione del mondo), per gli anniversari della morte di Maradona o, appunto per i record di inflazione, è diventata di nuovo protagonista della scena per questa rivoluzione che quasi nessuno aveva previsto.

Tutti gli osservatori erano sicuri sulla perpetuità del peronismo nelle sue evoluzioni.

Chi poteva prevedere che questo personaggio, figlio di un autista di autobus, arrivasse a tanto, cominciando a praticare il negazionismo sugli eccidi dei militari, ai tempi della guerra con il Regno Unito per la conquista delle isole Malvina-Falkland, quando  ancora adolescente  ruppe con il padre, indignato per il suo atteggiamento?

Con lui il cambio politico è anche geografico, perché vuol dire che l’onda populista travolge pure la pampa argentina, quel territorio sconfinato, lento e pigro politicamente, con mosse sempre uguali come in fondo è un po’ il tango intorno al potere perpetuato.

Dal Rio de la Plata, che bagna Buenos Aires fino alla Terra del fuoco, lungo gli spazi che portano al mondo alla fine del mondo quel ritmo sembrava eterno, malgrado tutto, malgrado i fallimenti, lo spreco di risorse immani di un paese che ha una dotazione impressionante di materie prime, tanto che i cinesi sono andati a sfruttarle tra i ghiacci e i silenzi del Polo Sud.

Chi potrà salvare l’Argentina dall’ultima follia? Milei, stravincente per la presidenza, non avrà nel Congresso una maggioranza tanto solida da incidere sul grande territorio, dovrà allearsi con qualcuno.

Si fa il nome dell’ex presidente Mauricio Macri, di una destra moderata, che governò male prima di Fernandez, un peronista di destra, un po’ liberale e meno “loco” del suo successore. Dipenderà dall’impatto di questo neo presidente e dal suo salto nel buio, che sarà pure al mondo alla fine del modo, ma che accende fiamme populiste un po’ ovunque ,  a partire dagli Stati Uniti, dove si vota tra un anno con Trump scatenato, il perfetto gemello per questo argentino che è stato maestro di sesso tantrico, cantante con criniera bionda stile Rod Stewart, show men in talk schow economici, che vive in casa con quattro cani mastini, dal peso di 100 chili l’uno, che ottenne uno stage alla Banca Centrale, che però poi non lo assunse e ora lui la vuole cancellare. Con la motosega.