"Il Brasile prima di tutto.

Il Brasile su tutto".

L'ex presidente di destra, Jair Bolsonaro, ripete ancora e ancora lo slogan, prima di salutare le decine di migliaia di sostenitori, arrivati da ogni parte del Paese, per dimostrargli una volta in più che non è solo. Che nonostante tutte le inchieste e le accuse, può ancora contrare sul loro appoggio.
"Sono un perseguitato", si sfoga il leader sovranista. "Lo sono stato quando ero il capo dello Stato e oggi lo sono ancor di più" insiste, spiegando di non aver mai ordito ai danni della democrazia. "Hanno detto che volevo fare un golpe. Lo dicono in base alla bozza di un decreto per lo Stato di difesa.
Ma quale golpe? Usando la Costituzione? Ma santa pazienza, è il Parlamento che decide in questi casi".
Nel suo discorso, Bolsonaro evita di chiamare per nome i suoi avversari, limitandosi a parlare di un "male che non durerà per sempre". "Possiamo fare ancora molto per la nostra patria. La libertà è il bene principale, ma è come un grande amore, ce ne dobbiamo prendere cura ogni giorno" sollecita, chiedendo un "momento di pacificazione" e un'amnistia per i devastatori dell'8 gennaio 2023.
E indicando la rotta riassume: "questa piazza è fotografia della determinazione dei brasiliani. Non vogliamo il socialismo, non possiamo ammettere il comunismo. Ma dobbiamo lavorarci su".