C’è un passato medievale tutto da scoprire che affiora dal cantiere della Soprintendenza di Venezia chiamato a restaurare i “masegni”, le pietre in trachite di cui è fatta la pavimentazione di Piazza San Marco, dopo le devastazioni dovute all’azione corrosiva dell’acqua alta. Dalla terra scura e bagnata, gli archeologi, guidati dalla responsabile dei lavori Sara Bini, hanno estratto il cranio di un bambino vissuto con tutta probabilità nell’alto Medioevo. Accanto vi sono tre scheletri che vengono ad aggiungersi a quelli recuperati proprio di fronte alle Procuratie Vecchie.

Raccontano una storia finora sconosciuta della Serenissima, quella che ruota intorno alla chiesa di San Gemignano, la chiesa dei Dogi, poi demolita e ricostruita sul lato orientale della piazza e infine rasa al suolo nell’ultima versione del Sansovino da Napoleone, che si trovava proprio nel punto dei ritrovamenti.

Complessivamente in un’unica tomba collettiva sono stati trovati i resti di sette persone. Un bambino attorno agli 8 anni, una donna e altri cinque adulti ultracinquantenni, tutti risalenti ad un periodo compreso tra il settimo e l’ottavo secolo. Pochi i punti fermi finora per gli esperti: si tratta per lo più di “anziani” per l’epoca, con occupazioni relativamente sedentarie. “Piazza San Marco non è sempre stata così come la vediamo oggi – spiega il post di Facebook pubblicato dalla Soprintendenza di Venezia -. E ora non è facile immaginarla con canali che la attraversavano e con chiese che la caratterizzavano”.

Come si è arrivati a San Gemignano? Grazie alle fonti archivistiche che dicono che esistesse l’edificio sacro in un punto preciso della piazza, ma anche grazie al rinvenimento di una sepoltura con spallette in laterizio all’interno della quale sono stati trovati i resti. Una conferma concreta, dopo i sospetti circolati per decenni, che i veneziani abbiano sempre restaurato, disfatto e rifatto l’area marciana sovrapponendo strati di natura diversa. Di sicuro San Gemignano è stata la chiesa più antica di San Marco.

“Era una pratica comune per l’epoca quella delle sepolture collettive – spiega Bini – . Erano tombe che venivano riaperte: il defunto precedente, ormai scheletro, veniva spostato per far posto al nuovo arrivato”. L’ipotesi è che ospitasse persone di rilievo, “visto che non era una semplice fossa – aggiunge l’archeologa – ma una tomba in muratura con una certa monumentalità per l’epoca”. L’attenzione degli esperti è ora puntata soprattutto sull’intervento del Comune di Venezia, destinato a breve a ‘scoperchiare’ per ragioni di restauro tutta la piazza, un’area che non veniva indagata dal 1855.