di ENZO GHIONNI
La trattativa tra la famiglia Agnelli e il gruppo Antenna Group per l’acquisto delle testate che fanno capo a Gedi è il simbolo dell’approssimazione della politica italiana.
Partiamo dai fatti. Nel 2019, in un momento di forte crisi del mercato editoriale, la più potente famiglia di industriali italiani decide di rilevare le quote di Gedi dai figli di Carlo De Benedetti. Con l’ingresso di Exor, il gruppo passa da un imprenditore a un altro.
Sono ambedue gruppi industriali e finanziari con forti interessi nel Paese, da sempre presenti nel settore, anche se con atteggiamenti e politiche diversi
Una volta acquisita Gedi, la famiglia Agnelli avvia un clamoroso spezzatino editoriale. Le testate locali vengono cedute una alla volta, da nord a sud. Il Tirreno, La Città, Il Centro, Il Secolo XIX. La società viene progressivamente svuotata dei suoi asset storici. La politica tace. Anche il dibattito pubblico resta silente.
Tutto ciò è avvenuto nel totale silenzio della politica e del dibattito pubblico. Nonostante a seguito delle cessioni la qualità dei giornali ha subito forti ripercussioni a seguito dei diversi stati di crisi avviati dai subentranti, con forti riduzioni del personale. Ma visto che toccava ai giornali minori, nessuno, compreso i sindacati, ha ritenuto di intervenire perché alcuni giornalisti sono “figli di un dio minore”.
Ora la famiglia Agnelli annuncia la cessione delle quote Gedi al gruppo greco, senza informare preventivamente i comitati di redazione.
Recentemente la famiglia Agnelli, con lo stile che gli è consueto, ha comunicato di essere in procinto di cedere le quote della Gedi al gruppo greco Antenna Group. Antenna Group è controllata da Theodoros Kyriakou, principale operatore privato dei media in Grecia. Il gruppo è attivo nella televisione, nella radio, nel digitale e nella produzione audiovisiva. Opera anche fuori dalla Grecia ed è un player internazionale di primo piano.
La trattativa è stata condotta senza aver informato di tutto ciò il comitato di redazione.I giornalisti del gruppo hanno alzato le barricate, chiedendo le garanzie sui livelli occupazionali e sull’autonomia editoriale delle testate del gruppo. Improvvisamente la politica si è svegliata, anche se sarebbe stato meglio se avesse continuato a dormire, visto il livello degli interventi.
Il sottosegretario Alberto Barachini convoca le parti. Chiede garanzie a venditori e acquirenti. Garanzie che possono essere promesse, non certo imposte dal Governo. Il Dipartimento per l’editoria non ha competenze né strumenti normativi per vincolare un’operazione privata di questo tipo. L’incontro produce dichiarazioni, non tutele.
La Lega, con il sottosegretario Morelli, dichiara di tifare per i greci. Non certo per spirito di libertà d’impresa, ma perché si augura che i nuovi proprietari possano tirare le orecchie ai giornalisti delle testate del gruppo Gedi, colpevoli secondo la finissima sensibilità culturale del parlamentare leghista di essere “sinistri”.
Ma l’opposizione è riuscita a fare ancora di peggio, chiedendo l’applicazione del Golden power, ossia del diritto dello Stato di esercitare l’opzione di acquisto delle società ritenute di carattere strategico. Ora i profili sono due: uno concerne l’opportunità politica e uno l’ignoranza. Se lo Stato acquista “La Repubblica” per sottrarlo all’influenza di un soggetto straniero, per quale ragione non ha rilevato le quote dei giornali che in questi anni hanno chiuso per la crisi? Se a fronte di decine di quotidiani e centinaia di periodici che sono scomparsi nessuno ha mai proferito parola, perché in quei casi vigeva la legge del mercato, per quale ragione lo Stato dovrebbe acquisire le quote di Gedi in luogo di un investitore straniero?
E poi l’ignoranza. Dal 1981 lo Stato non può essere proprietario di imprese editrici di quotidiani e periodici, non è un principio, è una norma di legge. Ma non solo, pur volendo ipotizzare che la risalenza della norma possa giustificare la non conoscenza della stessa, il Golden power può essere esercitato solo nell’ipotesi in cui l’acquisto di un’azienda ritenuta strategica avvenga da parte di un soggetto avente sede in un Paese Extra Ue. Questa norma è recente ed è stata approvata mentre l’attuale opposizione era al Governo. Quindi o il segretario del Pd non conosce una norma che ha approvato o non sa che la Grecia è un Paese che fa parte dell’Unione europea. E ancora una volta la forza del Governo è nell’inconsistenza dell’opposizione.
Quello che manca alla politica e alla società italiana è una visione. Eppure, basterebbe leggersi quella vecchia legge del 1981 scritta da un parlamento in cui la laurea era una condizione necessaria ma non sufficiente per decidere sulle sorti di un Paese.
Ebbene quella legge introdusse una figura giuridica, quella delle cooperative giornalistiche, che ha innovato l’intero impianto del sistema informativo italiano, creando una figura nuova: quella del giornalista imprenditore che associandosi con i colleghi fa il suo giornale. Ai tempi, quel legislatore pensò anche a dotare questo tipo di società di dotazioni finanziarie attraverso mutui garantiti dallo Stato.
Nessuno ne parla, perché torniamo al discorso dei “figli di un dio minore”, ma oggi in Italia circa 1.000 giornalisti sono proprietari dei loro giornali e li editano in forma associata, garantendo autonomia e libertà dai condizionamenti a sè e ai loro lettori. Il contributo che le norme gli attribuisce si erode sempre di più perché l’interlocuzione con il potere che hanno i grandi gruppi editoriali è, chiaramente, privilegiato e sempre più risorse vengono dirottate sui grandi giornali che hanno grandi padroni. Le norme cui sono sottoposte per accedere al sostegno pubblico sono molto ma molto più complesse che per gli altri soggetti giuridici e se chiedono un finanziamento ad una banca non ricevono la garanzia pubblica perché sono ritenute poco affidabili. E sapete perché? Perché non hanno un grande gruppo alle spalle che le garantisca. Italiano o greco che sia.
Ma parlare di questo no?















