di Andrea Cantadori

C'è un periodo della storia italiana, lungo un secolo, che sembra rimosso e poco amato: il Risorgimento. Eppure, questo periodo storico, iniziato con i moti del 1815 e concluso con la Grande guerra del 1915-18, ha portato all'unità nazionale e ha infiammato gli animi per molte generazioni, in tutta la Penisola. Da nord a sud, giovani patrioti hanno sacrificato la loro vita per l'unità italiana e l'indipendenza dagli stranieri. Eppure, sono del tutto dimenticati e rimossi dalla memoria collettiva i giovanissimi martiri di Belfiore, l'irredentista Cesare Battisti, i toscani trucidati a Curtatone e Montanara, i calabresi di Gerace, i volontari siciliani di Calatafimi, i fratelli Pisacane e tanti altri. Oggi prevale una narrazione revisionista e nichilista di quell'epoca, secondo la quale il compimento dell'unità nazionale altro non fu che il frutto di un disegno massonico realizzato con il favore degli inglesi.

Nel Nord Italia è molto diffusa la convinzione che il Risorgimento fu un colossale errore, che portò alla conquista del Sud, eterna "palla al piede". Per converso, al Sud si è fatta strada l'opinione di un Nord colonizzatore che ha ostacolato lo sviluppo del Mezzogiorno. Ovviamente non mancano le generalizzazioni e i falsi storici fra i sostenitori di entrambe le tesi. È innegabile che tanti giovani meridionali hanno perso la vita nella guerra contro l'Austria (sul lungomare di Reggio Calabria, un monumento ricorda i cinquemila militari reggini che non hanno fatto ritorno) e che il boom economico è stato reso possibile anche dall'immigrazione dal Mezzogiorno. Si tratta di elementari verità che non possono essere disconosciute da nessuno.

Così come è un fatto storico che il meglio della borghesia meridionale illuminata vedesse con favore l'unificazione italiana e che i briganti non fossero eroici oppositori all'esercito piemontese, bensì predatori vagamente nostalgici del potere temporale. Ma questo poco importa ai neoborbonici, che preferiscono semplificare il discorso rivendendo un'altra menzogna assai inflazionata, quella della Napoli-Portici prima ferrovia al mondo (menzogna, perché il primato spetta agli inglesi con la ferrovia Liverpool-Manchester del 1830). Così, di semplificazione in semplificazione, di menzogna in menzogna, rimuoviamo la memoria storica del Paese. Questo è anche dovuto al fatto che il Risorgimento non ha difensori nella società attuale, in quanto le culture politiche che si rifacevano al liberalismo, al repubblicanesimo e alla monarchia sopravvivono solo all'interno di sparute minoranze. E anche nei decenni scorsi il Risorgimento non è stato molto amato da movimenti politici che erano più intenti a volgere lo sguardo verso il Vaticano oppure verso Mosca. Tutto questo ha ostacolato la formazione di una condivisa coscienza nazionale sul Risorgimento.

È inevitabile che il giudizio su un tema tanto complesso, che ha abbracciato un secolo di storia, possa divergere e dar luogo a letture diverse. Ma è la rimozione storica di quello che il Risorgimento ha rappresentato che non può essere accettata. Così come certe falsificazioni nostalgiche di pseudo storicisti, adatte a un pubblico di poche pretese e di scarse conoscenze, non rendono giustizia della passione che animò tantissimi giovani, tanto al Sud quanto al Nord.