Un parterre d’eccezione e una platea di peso quella del Forum di Davos. Sfilano i capi di Stato e di governo, gli economisti e i pensatori. Ritornano gli attivisti. Toni pacati e quasi rassegnati quelli utilizzati da Greta, l’attivista svedese che ha girato il mondo per difendere la sua causa. Toni pacati, quasi come se il suo ruolo fosse terminato. Ed in parte e’ verissimo.

La giovane ha avuto il merito di muovere centinaia di migliaia di giovani e portare il problema dell’inquinamento globale all’ordine del giorno. Ma ora tocca alla politica fare le leggi e cambiare le regole. Ora e’ il momento che i governi voltino definitivamente pagina e si impegnino per la riduzione delle emissioni di CO2. E la risposta dell’Europa non si e’fatta attendere. L’inizio del nuovo ciclo istituzionale europeo ha, infatti, posto al centro delle sue priorità la lotta contro il riscaldamento globale e la transizione ecologica. In questo contesto, l’11 dicembre scorso, pochi giorni dopo il suo insediamento, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato una tabella di marcia per l’attuazione di un Patto Verde europeo, il Green Deal.

Le misure concrete a sostegno di questa tabella di marcia sono state presentate la scorsa settimana dalla Commissione europea e comprendono importanti investimenti, finanziati in parte dalla Banca europea per gli investimenti, con il sostegno dei programmi previsti dal Quadro finanziario pluriennale. Il Parlamento, in qualità di co-legislatore, sarà chiamato a discutere le proposte della Commissione e a modificarne il testo qualora lo si ritenga opportuno, in particolare per adeguare la coerenza tra la diagnosi che tutti noi condividiamo in merito al rischio climatico e i mezzi impegnati per affrontarlo. Il ruolo del mondo della finanza, attraverso l’individuazione di investimenti ecologicamente responsabili, e della Banca centrale europea, dovrebbe essere discusso senza alcun tabu.

Cristine Lagarde ha dimostrato la sua disponibilità ad avviare tale discussione, fatto certamente positivo. Un quadro quasi idilliaco e certamente molto positivo per attuare il cambiamento promesso. Lo ha spiegato bene il Presidente David Sassoli a Davos. Ma non solo. Quello che il politico europeo ha voluto sottolineare e la doppia lotta all’ emergenza climatica e alle disuguaglianze. Quasi come se le due questioni camminassero, pericolosamente sullo stesso binario.

"Ritengo – ha spiegato Sassoli- che la trasformazione civile che l’Europa intende realizzare per affrontare l’emergenza climatica richieda che si tenga conto della dimensione sociale e della lotta alle disuguaglianze, che dovranno necessariamente accompagnare tale trasformazione. Non dobbiamo infatti dimenticare che le sfide ambientali possono essere risolte solo se mettiamo la riduzione delle disuguaglianze al centro dell’azione politica. Le sfide riguardanti il clima e le disuguaglianze possono essere risolte solo insieme. Infatti, - ha proseguito Sassoli - le disuguaglianze e la povertà hanno molteplici effetti sul nostro ambiente. Le famiglie più povere sono meno inclini a cambiare il loro stile di vita in termini di riduzione dei rifiuti e di riciclaggio."

Le società più egualitarie hanno una migliore situazione ambientale e una maggiore capacità di diventare più sostenibili. Al contrario, una società disuguale in cui ampie fasce della popolazione vivono in condizioni di povertà alimenta la crisi ecologica. Ma, afferma Sassoli, "non siamo uguali davanti alla crisi ecologica. Ricchi o poveri, anziani o giovani, a seconda di dove viviamo, non siamo colpiti allo stesso modo dalla crisi climatica".

Verissimo, e’un dato di fatto che il clima eccezionalmente caldo e secco della scorsa estate ha avuto un impatto devastante sui terreni agricoli europei, riducendo il raccolto di ortaggi e aumentando il loro prezzo per il consumatore finale. Fattore che ha procurato un forte svantaggio in particolare per le famiglie a basso reddito. La crisi ecologica sta quindi aggravando la crisi sociale e la crisi delle disuguaglianze.

La disuguaglianza per Sassoli - è una "questione ambientale, cosi come il degrado ambientale è una questione sociale". "Dobbiamo capire che il progresso ecologico e il progresso sociale devono andare di pari passo e alimentarsi a vicenda. Non possiamo porre fine alla povertà e costruire una società più giusta, lasciando che la crisi ecologica distrugga il nostro pianeta. Ma non possiamo porre fine alla crisi ecologica mentre persistono alti livelli di povertà e disuguaglianza." Ne consegue che il processo di transizione verso un’economia sostenibile realizzabile non può essere visto esclusivamente attraverso il prisma della promozione di investimenti volti a trasformare il nostro modello produttivo. Questa idea si riflette nel concetto di "giusta transizione", che mira ad accompagnare la transizione del nostro modello produttivo con azioni sociali.

In questo senso,- ha chiarito Sassoli- il "Just Transition Fund" è una iniziativa che può essere accolta con favore, sebbene le risorse di cui sarà dotato tale Fondo probabilmente non saranno all’altezza delle questioni sociali che prevediamo. Infatti,- ha proseguito Sassoli- a fronte di un PIL annuo dell’UE di circa 15.000 miliardi di euro e degli enormi costi che le misure di lotta al cambiamento climatico imporranno in particolare alle famiglie, il "Fondo per una giusta transizione" di 100 miliardi di euro, ripartito su diversi anni, sembra insufficiente. Al fine di garantire il successo politico del Green Deal europeo, e’ essenziale rispondere ai timori di queste potenziali perdite - e dell’aumento dei prezzi dell’energia - attraverso misure di compensazione, in particolare per creare posti di lavoro di alta qualità e ben pagati.

Inoltre – ha dichiarato Sassoli- l’orizzonte che abbiamo è quello dell’instaurazione di una vera e propria governance socio-ecologica dal livello locale a quello europeo, che garantisca la partecipazione di tutta la società alla realizzazione della trasformazione del nostro modello produttivo. Ciò implica un forte dialogo sociale a tutti i livelli e il coinvolgimento delle comunità locali nella progettazione e nell’attuazione delle politiche pubbliche orientate a questo processo di trasformazione. Si tratta quindi di un cambiamento sociale molto ambizioso ed è nostra responsabilità sostenerlo. Questo cambiamento implica una revisione fondamentale del nostro modo di considerare l’attività economica e in particolare la crescita, in contrapposizione al concetto di benessere.

La definizione delle Nazioni Unite di "Obiettivi di Sviluppo Sostenibile" va in tale direzione. Focalizzare e valutare i risultati delle politiche su obiettivi di welfare espliciti piuttosto che su concetti astratti come il PIL permetterebbe ai cittadini di impegnarsi nella trasformazione delle nostre società. Sassoli e’ convinto che in Europa i cittadini debbano prendere coscienza delle loro radici e dei loro destini comuni. Gli europei devono essere "capaci di portare un’etica in grado di andare oltre la semplice logica del profitto economico". Dobbiamo insomma liberarci di questa "cultura dello spreco" di cui parla Papa Francesco, che obbedisce solo al profitto. Il progetto europeo che stiamo costruendo – ha concluso Sassoli - deve rafforzare la lotta contro la povertà e la riduzione delle disuguaglianze, deve preoccuparsi della dignità delle persone, in particolare nell’ambito del lavoro, attraverso un giusto salario.

di MARGARETH PORPIGLIA