di MARCO FERRARI

Bastava il suo nome per concedergli quel soprannome di "Roccia": Tarcisio Burgnich ha lasciato questa terra all'età di 82 anni dopo una lunga malattia. Burgnich è morto nella casa di cura San Camillo a Forte dei Marmi, in provincia di Lucca, dove era stato trasferito dopo una degenza all'ospedale Versilia. La salma è esposta nella casa funeraria Ferrante a Viareggio, cittadina dove l'ex calciatore viveva. L'ultimo saluto al mitico terzino si terrà giovedì pomeriggio alle 14,30 nella chiesa di San Giovanni Bosco nel quartiere Marco Polo. Una mitica figura del calcio nostrano, vecchia maniera, stile Nereo Rocco, che aveva raggiunto i massimi traguardi sportivi: era stato campione d'Europa con l'Italia nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970.

Originario di Ruda, in Friuli-Venezia Giulia, classe 1939, furlàn della provincia di Udine, Burgnich è tuttora considerato uno dei migliori difensori italiani di sempre. Terzino destro, stopper o libero, dopo essere cresciuto nell'Udinese, viene acquistato dalla Juventus ma senza trovare sufficiente spazio, poi va a Palermo e quindi, nel 1962, l'approdo in nerazzurro, dove diventerà un tassello fondamentale della difesa di Helenio Herrera. All'Inter rimarrà per 12 anni, collezionando 467 presenze, segnando 6 gol e conquistando otto trofei: quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Di roccia sembrava fatto Burgnich, il secondo della famosa cantilena dei ragazzi degli anni Sessanta: "Sarti-Burgnich-Facchetti". Allora andava di moda la formazione tipo, quasi sempre identica, il contrario di oggi in cui si utilizzano le cosiddette "rose ampie".

Lui, con il viso da duro, lo sguardo che già fermava l'avversario, perfino vagamente strabico, non sembrava muoversi dalla difesa. La Juventus non lo capì e per 100 milioni di lire del 1962, Moratti-Allodi-Herrera lo ripescarono dal Palermo trasformandolo in una bandiera nerazzurra. Chiuse la carriera al Napoli. Dopo dodici anni all'Inter, complice l'infortunio subito durante i mondiali tedeschi del 1974, i dirigenti della squadra lombarda lo considerarono un calciatore finito. Lui venne a sapere solo da Francesco Janich, all'epoca dirigente del Napoli, di essere stato trasferito alla squadra campana. Qui, dopo un iniziale problema con le tattiche dell'allora suo allenatore Luís Vinício, si trasformò in libero, divenne titolare inamovibile, disputando tutte le gare delle sue prime due stagioni e saltando solo sei match nella sua ultima stagione di carriera, dalla tredicesima del 16 gennaio 1977 alla diciottesima del 27 febbraio 1977.

Durante la sua permanenza con i partenopei, la squadra sfiorò la conquista dello scudetto nella stagione 1974-1975, quando arrivò seconda a due punti dalla Juventus, vincitrice del campionato. L'anno successivo i campani conquistarono la Coppa Italia, battendo con lui in campo il Verona allo Stadio Olimpico di Roma il 29 giugno 1976 per 4-0. In questo trofeo segnò la sua unica rete con gli azzurri, nella vittoria contro la Fiorentina per 1-0. Nella stagione 1976-1977 vinse la Coppa di Lega Italo-Inglese, giocando entrambe le partite, a Southampton contro la squadra locale il 21 settembre 1976 dove i padroni di casa s'imposero per 1-0 e a Napoli il 14 novembre dello stesso anno, quando i campani vinsero per 4-0. Lo stesso anno, il Napoli raggiunse per la prima volta la semifinale in una competizione europea, la Coppa delle Coppe, venendo eliminato dall'Anderlecht.

In Nazionale raggiunse le 66 presenze segnando due gol, uno nel 1970 in Messico, quello del momentaneo pareggio per 2-2 della mitica semifinale Italia-Germania Ovest, finita 4-3 e considerata la "Partita del secolo". Per quella gara disputata, Gianni Brera gli diede nella pagella 9+. In finale, poi, si trovò davanti Pelé che realizzò il gol del momentaneo 1-0 nella partita che il Brasile vinse 4-1. "Prima della partita – confessò – mi dicevo che avrei trovato un uomo come me, fatto di carne e ossa ma alla fine dovetti ricredermi". Quando arrivò una palla alta, saltarono insieme, ma quando Burgnich mise di nuovo i piedi a terra, Pelè era ancora in volo, lassù per segnare un gol fantastico.

Appese le scarpe al chiodo, dalla fine degli anni Settanta iniziò la carriera di allenatore, occupando, fra le altre, le panchine di Catanzaro, Bologna, Como, Cremonese, Lucchese e Pescara, ultima sua esperienza a inizio 2001. Anche in panchina Burgnich ha sempre confermato il piglio combattivo, quello che lo ha contraddistinto per tutta la sua avventura professionale.  Così il cordoglio dell'Inter: "Ciao Tarcisio, sarai sempre la nostra 'Roccia". Sandro Mazzola rammenta che "era un compagno fantastico, per quello che faceva dentro e fuori dal campo. Spesso quando si giocava e c'era da marcare il campione avversario toccava sempre a lui. Quando facevamo la 'passeggiata' lo prendevamo in giro lasciandolo dietro, ma poi si rifaceva durante la partitella". Gabriele Oriali ricorda che "alla mia prima convocazione all'Inter ero in camera con lui, è stato il mio mentore, mi ha insegnato tanto, gli volevo davvero bene, mi mancherà tantissimo". Roberto Mancini, commissario tecnico dell'Italia lo ha salutato con questa frase: "Ciao Mister, grazie per quel magico esordio a Bologna, te ne sarò sempre grato!".