di Franz Foti

Sono molti coloro che pensano che la situazione politica odierna presenti le medesime analogie che visse il governo laico di De Gasperi subito dopo il secondo conflitto mondiale.

Si camminava ancora tra le macerie della guerra e un sentimento di tristezza e di angoscia per le sorti future del Paese attraversava tutte le fasce sociali, le forze politiche diversamente collocate, gli uomini di governo, tutte le generazioni.

Alcide De Gasperi capiva il dramma che si stava vivendo e non ebbe molte esitazioni nel varare un governo laico, non confessionale e non parafascista. La salvezza e la ripresa del nostro Paese, soleva affermare, passa attraverso la democrazia e la libertà, il futuro non è da affidare alla conservazione, ma all’apertura. E cosi fece. Nacque il suo governo di cui fecero parte, solo per citarne alcuni, Pietro Nenni, Giovanni Gronchi, Palmiro Togliatti, Antonio Segni, Ugo La Malfa, Giorgio Amendola, Bruno Visentini, Manlio Brosio. Quel governo nacque e tracciò i percorsi per instradare il Paese verso lo sviluppo economico, sociale e culturale, con il contributo di tutte le forze democratiche, lasciando fuori le forze che si richiamavano al fascismo.

Quella politica poggiava la sua azione su alcuni solidi principi di fondo: unità della nazione e del popolo italiano; una visione europea; il rispetto delle regole come presupposto di ogni forma di libertà; la funzione di servizio del politico  e l’impegno assiduo e leale per aiutare il Paese. De Gasperi, nella conferenza di pace del 1946 a  Parigi, fece mutare atteggiamento alle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale riportano l’Italia dentro un perimetro di stimabilità che, sino ad allora era piuttosto traballante.

Diceva: ”Impegnarsi a fondo. Mai impegnarsi a metà: quando si ha una convinzione e si è chiamati ad una certa responsabilità, allora non ci sono limiti, tutta la persona, tutte le fatiche, tutto lo spirito deve essere dedicato a quel lavoro. … E tutto va perseguito con tenacia e con costanza… Il mio servizio è dello Stato e del popolo italiano, dello Stato che è popolo; dello Stato che è rappresentato dai suoi organi ufficiali esecutivi, la cui essenza, la cui vitalità si prospetta nell’avvenire e rappresenta l’eternità della nazione. Siate quindi imparziali e forti, soprattutto perché la forza dello Stato viene dalla giustizia e dalla sua imparzialità. ... L’ordine si mantiene non col servire a l’una o all’altra parte, ma col servire la libertà”.

E aggiungeva: “Non si può votare  in un certo senso nell’aula del governo e fare fuori la campagna contro lo stesso governo, non si può soprattutto usare e profittare delle forme legali della democrazia e tenere in riserva una eventualità antidemocratica”.

E sull’Europa: “L’Italia deve partecipare a questo sforzo di ripresa economica con fede sicura nella pace, con fermi propositi, coordinando i propri interessi a quelli degli altri Paesi europei e con la volontà tenace di essere elemento di pace  democratica e ricostruttiva; centro di equilibrio fra libertà e giustizia sociale, meta a cui devono tendere incessantemente i nostri sforzi di rinnovamento, di riforme e di ricostruzione”.

Draghi purtroppo non si circonda di personaggi della levatura di quelli sopra richiamati e sulle sue spalle gravano tutte le aspettative di successo che il sottobosco partitico, politico e parlamentare sgambetta, imbriglia, manipola ogni giorno, con la compiacenza dell’informazione, praticando spudoratamente l’ipocrita richiamo all’interesse generale e al bene comune. Attenzione però, la mediocrità riesce ad abbattere anche uno Stato.