La Regione Umbria ha approvato una mozione per fare ricorso alla Corte Costituzionale sul Decreto Sicurezza il 7 gennaio. Una mossa che segue l’annuncio della Regione Toscana e del Piemonte. Anche l’Emilia Romagna, la Calabria, il Lazio e la Basilicata valutano un passo analogo. Intanto il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, sfida il governo: “Un giudice mi porti alla Corte Costituzionale”.

I governatori di centrosinistra si schierano coi sindaci ribelli circa l’incostituzionalità del decreto sicurezza approvato dal governo gialloverde e voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’Umbria è la prima regione a fare ricorso, sostenendo la “palese incostituzionalità” del decreto.

Partita da un gruppo di sindaci, in testa Leoluca Orlando di Palermo, la battaglia si è spostata alle Regioni che a differenza dei Comuni possono ricorrere direttamente alla Corte costituzionale, senza passare prima da un giudice. Secondo i governatori, l’eliminazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari e del diritto di residenza ai richiedenti asilo sta creando ‘caos’ applicativo su materie di competenza regionale quali salute, assistenza sociale, diritto allo studio, formazione professionale, edilizia residenziale pubblica.

Catiuscia Marini, governatore dell’Umbria, ha dichiarato: “Nessuno in Umbria verrà abbandonato al suo destino, umbri e non, con buona pace dei disseminatori di odio”. Anche Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, si schiera con i sindaci ribelli: “Ho avuto conferma che esistono le condizioni giuridiche per il ricorso: il decreto, impedendo il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avrà ripercussioni sulla gestione dei servizi sanitari e assistenziali di nostra competenza”. Da Firenze il governatore Enrico Rossi ha reso nota l’intenzione di un ricorso, pur specificando che non ci saranno “atti di disobbedienza civile”. Emilia Romagna e Calabria erano già uscite allo scoperto nei giorni scorsi. Ora alla lista si aggiunge il Lazio. “Stiamo valutando il ricorso alla Consulta, che deve però essere solido e motivato”, ha detto il presidente Nicola Zingaretti.  “Nella legge regionale di bilancio – ha aggiunto – abbiamo stanziato 1,2 milioni di euro per non far chiudere gli Sprar”, i centri di accoglienza diffusi sul territorio.

Secondo i titolari dei governi regionali che contestano il decreto, la nuova norma compromette il diritto alle cure mediche, allo studio, comprese le provvidenze per gli studenti universitari, la formazione professionale, e interrompe il percorso di integrazione generando insicurezza sociale. Sul piede di guerra restano molti sindaci, anche se il fronte non è compatto: il 10 ci sarà il direttivo Anci, il cui vice presidente, Roberto Pella, Forza Italia, invita a “rispettare sempre la legge”. Salvini da parte sua tira dritto: “Per la strada la gente mi dice: vai avanti”.

Anche la Regione Sardegna è pronta a ricorrere alla Corte Costituzionale. Francesco Pigliaru che ritiene vada cambiato “in quanto crea incertezza, insicurezza e dis-integrazione”. L’assessore degli Affari Generali con delega alle migrazioni, Filippo Spanu, porterà in Giunta, insieme al nuovo piano dei flussi non programmati, anche una relazione sul dl e sul global compact “per valutare – spiega all’ANSA – le ulteriori iniziative da prendere”. “Quello che è certo – sottolinea l’assessore – è che ci stiamo muovendo in coordinamento con le altre Regioni per richiedere un confronto politico al Governo in sede di Conferenza delle Regioni, nello specifico con la commissione delle migrazioni”. L’altra battaglia è sulla Bossi-Fini. “Gli altri Stati riescono a organizzare i flussi programmati – spiega ancora Spanu – noi no e li subiamo, perché è in vigore la Bossi-Fini che va assolutamente modificata”.