Un nuovo prestito ponte per Alitalia in attesa che si perfezioni l'offerta vincolante del consorzio Fs-Atlantia-Mef-Delta dopo la richiesta di una nuova proroga da parte dei due soci italiani. Nel decreto fiscale licenziata "salvo intese" dal Cdm, figura quindi un nuovo finanziamento a titolo oneroso per l'ex compagnia di bandiera e le altre società del gruppo in amministrazione straordinaria. Al momento, la cifra indicata sarebbe di 350 milioni per sei mesi: il tempo necessario per far sì che la nuova Alitalia - sempre che l'offerta vincolante arrivi nel giro di qualche settimana - diventi operativa una volta esauriti tutti i passaggi autorizzativi necessari. Ma Alitalia è un morto che cammina e chi e se l’acquisterà, if any, è difficile che faccia un buon affare senza ricche contropartite da parte del governo e di questo si sono accorti tutti. Intanto i mesi passano inesorabilmente e una soluzione qualsiasi viene continuamente rimandata. Suonano ancora grottesche le parole a suo tempo usate dagli attuali governanti, che affermavano che bisognava difendere l’italianità della compagnia, che non bisognava svenderla (!) e che non si sarebbero accettati in alcun caso degli spezzatini. Tre affermazioni per lo meno bizzarre, vista la situazione. Comunque il governo è soprattutto alla ricerca di un socio industriale che sia in grado di compiere la miracolosa impresa di far volare gli aerei col tricolore senza perderci troppi soldi; nessuno verosimilmente è riuscito ancora a dimostrare che si tratta di una cosa fattibile. Su di un altro piano, si è diffuso nei mesi scorsi, in parte alimentato dai tre commissari ad acta, un certo ottimismo sulle sorti dell’azienda; ci hanno raccontato che le cose stavano migliorando, che il fatturato aumentava e che le perdite si andavano riducendo. Ma i primi dati consuntivi mostrano che la situazione rimane sostanzialmente tragica. Ricordiamo peraltro che la società continua a volare grazie ad un prestito dello Stato per 900 milioni di euro, prestito che in teoria bisognerebbe presto restituire sotto lo sguardo sospettoso dei commissari di Bruxelles. E veniamo ai possibili pretendenti. Per chi abbia la memoria un poco corta ricordiamo che quando fu avviata, circa due anni fa, la procedura di vendita della società, si erano registrate, con grande soddisfazione dichiarata dei governanti, ben trentatré manifestazioni di interesse da parte di altrettante imprese. Ma, già dopo una prima scrematura e comunque dopo una prima analisi da parte dei soggetti in qualche modo coinvolti, di pretendenti ne erano rimasti solo tredici. Nel gennaio 2018 eravamo ridotti a sette soggetti. Seguiranno vicende varie e in parte misteriose sulle quali sorvoliamo. Intanto registriamo la presenza di un attore votato comunque al martirio – le Ferrovie dello Stato – che fanno peraltro intravedere dei fantasmagorici progetti relativi alla creazione di un grande polo della logistica nazionale e comunque una mirabolante integrazione tra l’ala e la rotaia (ovvero, nelle parole dei responsabili delle stesse ferrovie, si varerebbe un "progetto integrato di mobilità del Paese"). Abbiamo ancora la presenza obbligata, per fare massa, del ministero dell’Economia e delle Finanze e poi quella dell’americana Delta, che prenderebbe un 10% nel capitale della nuova compagine (non è sino in fondo chiaro quale sarebbe la contropartita di questo peraltro modesto impegno; forse, tra l’altro, una maggiore forza all’interno del consorzio transatlantico cui partecipano sia la compagnia statunitense che quella italiana, insieme ad Air France-Klm e ad una società cinese). Dal canto suo Lufthansa sta alla finestra, con la sua offerta di prendere in mano la faccenda, ma al prezzo di estromettere un bel po’ di dipendenti del settore volo (circa 3.000), prendendosi solo una parte della flotta, rifiutando anche di farsi carico dei servizi a terra (che occupano circa 5.000 addetti) e chiedendo infine anche il ritiro dal gioco dei soci pubblici. Intanto i ministri cercano di far entrare nella partita altri soggetti pubblici, da Leonardo a Fincantieri (azienda quest’ultima in effetti pronta a quasi qualsiasi avventura, ma che dovrebbe poi giustificare ai suoi azionisti e al mercato il perché dello stravagante ingresso nella partita), dalle Poste all’Eni, alla CDP. Ma tutte, tranne forse la già citata Fincantieri, si sfilano spaventate. Si domanda soccorso anche ai cinesi (forse gli unici che potrebbero prendere sul serio la questione, Trump e i replicanti di Bruxelles permettendo). Il governo si è persino rivolto ai Benetton, a quell’Atlantia a cui ancora qualche mese fa si dirigevano tutti gli strali di Di Maio e di Toninelli dopo il crollo del ponte di Genova e a cui si volevano togliere tutte le concessioni autostradali; era facile pensare che non se ne sarebbe fatto niente. Già in qualche altra occasione, abbiamo ricordato i contorni principali relativi all’andamento del mercato mondiale, europeo e italiano, contorni che fanno disperare che un’azienda come l’Alitalia vi possa oggi trovare un suo spazio adeguato. Rivediamo tali indicazioni. Le prospettive del mercato del traffico aereo a livello mondiale sono in generale molto favorevoli. Esso cresce fortemente ogni anno e dovrebbe secondo tutte le previsioni continuare ancora a farlo nel prossimo futuro. Cambia, semmai, nel tempo la classifica dei protagonisti. Il primo posto sta passando dagli Stati Uniti all’Asia e in particolare, come al solito, diventa fondamentale il ruolo della Cina, mentre l’Europa, che veniva in passato dopo gli Stati Uniti come dimensioni del mercato, ora tende a collocarsi al terzo posto, perdendo molta della sua importanza. La stessa cosa sta accadendo peraltro, più o meno, in molti altri settori: si veda per tutti quello dell’auto. Già a questo punto possiamo cominciare a pensare quale possa essere il futuro eventuale ruolo dell’Alitalia, quello di un’azienda marginale in un mercato tendenzialmente marginale, ma in ogni caso brutalmente competitivo. In effetti, tra l’altro, il mercato statunitense e quello cinese sono dominati da pochi vettori. In Europa ne esistono invece ancora molti, troppi, ma il processo di concentrazione è comunque in atto ed esso procede abbastanza spedito; le piccole compagnie chiudono o vengono assorbite una ad una, come indicano le cronache economiche degli ultimi anni e ancora quelle degli ultimi mesi. Il mercato si dovrebbe concentrare così, con il tempo, con tre vettori generalisti (Lufthansa, Iberia-British, Air France- KLM) e in due case low-cost (Easyjet e Ryanair). Il resto sarà sostanzialmente irrilevante. Inoltre le società europee del settore, anche in relazione alla polverizzazione del mercato, sono molto meno redditive di quelle statunitensi. Pesa anche e fortemente l’affermazione sempre più rilevante dei già citati vettori lowcost, almeno per le tratte brevi, in attesa che lo stesso eventualmente accada anche per quelle lunghe. In Italia poi, oltre alle inefficienze della compagnia di bandiera e all’affermazione delle società a basso costo, si è sviluppato anche il settore dei treni ad alta velocità che hanno conquistato quote di mercato molto importanti sulle tratte più ricche. Tra l’altro la compagnia romana dell’aria riusciva a suo tempo in qualche modo a stare in piedi proprio in virtù dell’assenza di concorrenza, potendo praticare così tariffe molto elevate. Ma la pacchia, con la caduta delle barriere e l’avvento dell’alta velocità, è finita da un pezzo. Oggi l’Alitalia è forse solo il terzo vettore come importanza dei cieli italiani, mentre ha una quota del 2% del mercato europeo e di poco più dell’1% di quello transatlantico; cifre ridicole. Sostanzialmente inesistente la sua presenza sul mercato ormai più importante e dalle maggiori prospettive, quello asiatico. Mantenere in piedi un’impresa autonoma oggi in Europa nel settore dell’aviazione civile appare un compito estremamente difficile, a meno di essere pronti a mettere in campo ingenti risorse a fondo perduto nel tempo. La sola possibilità realistica cui ci si trova davanti è quella di inserire l’Alitalia in un gruppo più grande, preferibilmente europeo, essendo poi disposto e capace il governo di gestire adeguatamente l’esubero di qualche migliaia di lavoratori. Ma a tutt’oggi, oltre a mancare chi possa sollevare le sorti della società, è assente anche un sia pur vago piano industriale, che spieghi tra l’altro su quali fasce di mercato insistere, su quali orizzonti geografici operare, con quali risorse e con quale organizzazione. Noi guardiamo in generale con favore ad una maggiore presenza pubblica nell’economia, presenza resa peraltro sempre più necessaria anche per la scomparsa dagli orizzonti del grande capitale privato nazionale, ma in questo caso ci sembra che manchino tutti i presupposti perché tale intervento sia produttivo.