Questo splendido oggetto é, in inglese, il sallet, l’elmo di guerra di Massimiliano I d’Asburgo (1459- 1519), imperatore del Sacro Romano Impero dal 1493 alla morte. É nella collezione del Metropolitan Museum of Art di New York. "Sallet", secondo gli storici, é una storpiatura del suo nome in italiano, "celata", ed é un riferimento alla maniera in cui l ' e l m o "cela" il viso di chi lo porta.

L’esemplare nel presente caso fu fabbricato dagli Helmschmied di Augusta - Augsburg in tedesco - una città bavarese capoluogo della Svevia. Fu una delle più importanti famiglie di armorari del tardo medioevo. Il modello però é italiano, o meglio, milanese. La "moda" della città lombarda che dominava l’Europa all’epoca era quella delle armi e le armature, non degli "stracci" e gli accessori per l’uscita serale.

Le "Prada" e "Armani" delle armi lombarde furono le famiglie Negroni (detta "dei Missaglia") e Negroli. Per la somiglianza dei cognomi e per la comune origine dalle parti di Ello, nella Brianza lecchese, gli studiosi litigano ancora sul grado di parentela esistente tra i due clan concorrenti. Comunque sia, le loro tracce restano nella toponomastica milanese: la Via Spadari di oggi - nei pressi del Duomo - é proprio dove, una volta, si fabbricavano le spade. Dal punto di vista dell’utilità dell’elmo dell’Imperatore, é subito evidente un problema: col visore chiuso il soggetto che lo porta é in pratica cieco e deve pure avere qualche difficoltà a respirare.

L’eccesso di protezione non fu però un "bug"ma piuttosto un "feature". Il dovere dell’Imperatore in battaglia non era tanto quello di combattere, ma sopra ogni altra cosa di non farsi uccidere. Le sue truppe regolari adoperavano invece un’altra innovazione italiana, la più pratica "barbuta", cosiddetta probabilmente perché l’elmo lasciava visibile la barba del portatore. Molto più semplice, era senza visore e con una caratteristica apertura a "T" per gli occhi e la bocca. Nel 1363, il comune di Firenze assoldò i due capitani di ventura, Ugo di Melichin ed Ermanno di Vinden, con l'impegno di "conducere al servigio del Chomune di Firenze in forma di chompagnia mille barbute, fralle quali n'abia ottocento, il meno, bene armate".

di JAMES HANSEN