L’Italia ha dichiarato ufficialmente la sua contrarietà all’abolizione dell’ora legale. È stato infatti depositato a Bruxelles il “position paper” che l’attuale governo non ha inteso modificare. In sostanza il nostro Paese non vuole cambiamenti sugli spostamenti orari che consentono di portare in avanti le lancette (dalle 2 alle 3 di notte) in primavera per guadagnare un’ora di luce. Il 31 marzo prossimo l’ora legale scatterà regolarmente, in attesa che il il 27 ottobre prossimo sia ripristinata l’ora solare, con conseguente retrocessione di un’ora delle lancette.

Perché l’Italia dice no all’abolizione, appoggiata con forza dai paesi del nord Europa? Per tre motivi. Soldi, e cioè non si vuole rinunciare a un risparmio di cento milioni di euro l’anno per la minore spesa energetica. Poi c’è una questione organizzativa, diciamo così, perché si rischia un mosaico di fusi orari che aggiungerebbero solo caos sul mercato interno Ue. Terzo motivo: non crediamo alla scientificità certa e accurata degli studi che imputano all’ora legale un’alterazione dei ritmi circadiani nociva per l’equilibrio psico-fisico.

Il cambio del’ora – scrivono sulla rivista Jama Neurology quattro ricercatori della Vanderbilt University e della University of Pennsylvania – può essere associato ad un aumento del rischio di attacchi cardiaci e di ictus. E riduce in media il sonno di 15-20 minuti nei giorni successivi all’entrata in vigore, un effetto che può aumentare il rischio di incidenti stradali. Su alcuni soggetti più fragili, sottolinea l’articolo, come i bambini con autismo, gli effetti negativi permangono per settimane e anche per mesi.